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Sul salario minimo il governo prova a ripartire con slancio. Il premier Conte ne ha citato la necessaria introduzione sia il 31 maggio (parlando in occasione del centenario dell'Oil) sia il 3 giugno nel suo “discorso agli italiani”. Il vicepremier Di Maio lo mette tra i primissimi impegni della “fase 2” dell’esecutivo, in Senato è già previsto l’esame del provvedimento nella settimana dal 18 al 20 giugno (se però sarà licenziato dalla Commissione). Un’accelerazione, questa di Cinquestelle e presidente del Consiglio, che però non sembra condivisa dalla Lega, che per bocca del viceministro allo Sviluppo economico Dario Galli chiede più di un chiarimento sulla proposta. In tutta questa incertezza, dopo un mese oggi (mercoledì 5 giugno) tornano a incontrarsi governo e sindacati: l’appuntamento è a Roma, alle ore 11 presso il ministero dello Sviluppo economico, per la Cgil partecipa il segretario confederale Tania Scacchetti.
A puntare sul salario minimo sono i Cinque stelle, che sul tema hanno presentato un disegno di legge (ossia il ddl 658, che vede come primo firmatario la senatrice Nunzia Catalfo). La proposta stabilisce una paga oraria minima di 9 euro al lordo degli oneri contributivi e previdenziali: il trattamento economico sarebbe di volta in volta adeguato nel tempo, e verrebbe applicato a tutti i contratti di lavoro subordinato e parasubordinato, comprese le collaborazioni coordinate e continuative. La Cgil, pur evidenziando nel testo alcuni elementi positivi (come il riconoscimento della contrattazione collettiva svolta da soggetti rappresentativi come luogo principe nella fissazione della retribuzione, oppure il riferimento, in caso di pluralità di contratti collettivi esistenti, ossia in caso di rischio di dumping, al fatto che la retribuzione proporzionata e sufficiente è quella definita dai contratti sottoscritti da organizzazioni rappresentative), considera però sbagliata e da modificare l’indicazione di una cifra fissa, ossia la paga oraria minima di 9 euro lordi.
Sul tema va segnalato anche l’attivismo del Partito democratico. In Parlamento è depositato il ddl 310 (proposto dal senatore Mauro Laus), che però sembra essere ormai superato dal ddl 1132 (presentato a metà marzo dal senatore Nannicini). Questa nuova e più articolata proposta del Pd interviene sulla definizione di salario minimo, ma anche sulla rappresentanza, sulla rappresentatività e sulla partecipazione. La Cgil considera positivo il fatto che il ddl non abbia l’indicazione di una cifra fissa per il salario minimo legale, visto che il riferimento è ai trattamenti minimi tabellari (non complessivo però) stabiliti dai ccnl sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Ma anche questo testo comprende alcune parti problematiche, come l’istituzione di un salario minimo di garanzia negli ambiti non coperti dai contratti collettivi, che rischia di agevolare l’uscita dai ccnl come possibilità alternativa ai minimi dei ccnl, oppure l’affidamento a una Commissione paritetica istituita presso il Cnel di moltissimi compiti, che sarebbero così sottratti all'autonomia negoziale.
“Le nostre priorità rimangono la necessità di affrontare il tema del lavoro povero, non solo con un intervento sui minimi ma con investimenti, e rafforzando il sistema dei controlli. E poi una normativa sulla rappresentanza per eliminare il dumping dei contratti pirata e contrastare l’evasione e l’elusione contrattuale”. Questo il commento dei segretari confederali Cgil Tania Scacchetti e Ivana Galli all'ultimo incontro del 6 maggio scorso, il secondo con oggetto il salario minimo (il primo risale al 20 marzo, considerato interlocutorio dai sindacati). La delegazione ha inoltre rimarcato l’urgenza di dare attuazione agli accordi sulla rappresentanza e la rappresentatività, anche mediante una legge di sostegno, a partire dalla necessità che sia sbloccata la convenzione tra Inps e ministero tuttora ferma.
Nell'incontro si è comunque registrata, da parte del governo, qualche apertura. “Riteniamo apprezzabile il riferimento alla rimarcata volontà, espressa in sede di confronto, di dare attuazione all'articolo 36 della Costituzione, conferendo valore generale ai trattamenti economici complessivi previsti dai contratti collettivi sottoscritti dai sindacati comparativamente più rappresentativi”. Un contesto nel quale, però, “stride l’individuazione di una cifra unica come trattamento minimo economico orario, e ne costituisce una contraddizione. Tuttavia è apprezzabile l’aver stabilito che questo limite economico non è alternativo alla contrattazione nazionale, ma rimane all'interno e in riferimento a essa”.