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Il turismo riparte, ristoranti e alberghi tornano in pista, ma i lavoratori del settore non rispondono prontamente all’appello. Poca voglia di riprendere a faticare, sostengono gli imprenditori, convinti che la loro forza lavoro sia stata viziata dal reddito di cittadinanza.
La Filcams Cgil ha risposto, dati inequivocabili alla mano, ricordando che il turismo è il settore dove si annidano quantità importanti di lavoro sommerso e grigio , ovvero solo parzialmente regolato dal contratto nazionale del settore, e dove buona parte delle lavoratrici e dei lavoratori sono stagionali, a chiamata e in appalto. Insomma, un’enclave di precarietà, dove vigono orari lunghissimi e i riposi non sono mai sufficienti, come se lavorare solo una stagione dovesse significare necessariamente accettare qualsiasi condizione e dimenticare la propria vita e la propria salute per mesi.
I datori di lavoro si lamentano, non trovano addetti e non trovano ragioni sufficienti che possano scalzare il sospetto di una pigrizia dilagante generata dal reddito facile elargito dallo Stato. Ma c’è una ragione sopra tutte le altre che rende le loro offerte non solo poco appetibili, ma lontane dal più comune senso di dignità e rispetto: l’offerta economica, ridicola. È sufficiente scorrere gli annunci di lavoro per saperlo, per leggere nero su bianco di quale trattamento economico si parla, e non è neanche l’unico problema. Dove succede? Ovunque, non è una questione di latitudine.
Siamo, ad esempio, a Bologna. Un ristorante del centro cerca un cameriere di sala, leggiamo nel titolo dell’annuncio, ma poco sotto vediamo che gli offre uno stage, e passando alla descrizione scopriamo che dovrebbe essere un barista abile e in grado, se necessario, di prendere le ordinazioni ai tavoli. Ma non solo, si chiede anche di svolgere mansioni di “mise en place, pulizia, sistemazione, carico merce e allestimento buffet”. Sono richiesti diploma di maturità e conoscenza della lingua inglese. 600 euro al mese.
Ci spostiamo in Sardegna, a Cagliari, dove un bar cerca una ragazza per un turno pomeridiano e serale. Deve essere una donna ed “esclusivamente di bella presenza”, più esattamente “formosa”, ma deve anche mostrarsi “gentile con i clienti” e disporre di un’auto per venire al lavoro. I curricula senza foto finiscono direttamente nel cestino. E il compenso? Lo stesso di Bologna, 600 euro al mese, ovviamente tempo determinato.
Da Cagliari a Napoli, dove è una celebre pizzeria a riassumere in un colpo solo tutti i punti della controversa vicenda. Al centro il titolare, che si è distinto prima per aver denunciato pubblicamente la difficoltà di reperire personale, attribuendola al famigerato reddito di cittadinanza. Ma il dibattito che è seguito allo sfogo dell’imprenditore e alle sue accuse ha visto intervenire, tra gli altri, anche alcuni suoi ex dipendenti, che hanno pubblicato le buste paga ricevute lavorando nella pizzeria. Ancora una volta, nero su bianco: quel che si legge è un compenso di poco più di 700 euro al mese, comprensivo di assegni familiari, a fronte – aggiungono i lavoratori - di turni di 12 ore al giorno. Qualcuno la busta paga sostiene di non averla nemmeno avuta.
Ecco, questo è un breve tour della nostra Italia, tra città d’arte e località di mare, un viaggio nelle pieghe della società del turismo, dove la bellezza perde smalto e appare contaminata dalla mancanza di regolarità degli impieghi offerti e dallo scarso rispetto mostrato verso lavoratrici e lavoratori. Che reclamano, giustamente, un trattamento dignitoso, sotto tutti i punti di vista.