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Da tempo e unitariamente i sindacati chiedono fatti e non parole di circostanza ogni volta che si aggiorna la conta dei morti. “Morti non per fatalità ma a causa della cultura del profitto a scapito della dignità del lavoro e della sicurezza”. Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil, ricorda le richiesta rivolte al governo senza mai ottenere risposte.
Cinque morti nel cantiere Esselunga a Firenze, nei giorni successivi altri due morti. Eppure questo governo è in carica ormai da quasi un anno e mezzo e aveva annunciato grandi interventi sulla sicurezza per il lavoro, che cosa è stato fatto e cosa no?
Non è stato fatto assolutamente nulla. All’inizio facemmo alcuni incontri totalmente inutili con il governo, poi interrotti perché finti. Leggo sui giornali che sarebbero al lavoro commissioni ministeriali per individuare strategie, ma non ne sappiamo assolutamente nulla. In realtà tutto ciò che è stato fatto va nella direzione della cosiddetta semplificazione, del contenimento delle sanzioni. E anche il lavoro in corso sul sommerso, che in qualche modo tocca anche la questione di salute e sicurezza, ha la caratteristica di indebolire le norme esistenti, il contrario di ciò che occorrerebbe fare. Oltre alle norme specifiche, quel che serve – come per i femminicidi – è un cambio culturale. È inutile pronunciare parole di cordoglio a incidenti avvenuti se non cambia la logica che tutto è consentito sull’altare del profitto e della libertà di impresa che deve essere salvaguardata a prescindere. Pensiamo alla riforma del Codice dei contratti pubblici imposto da Salvini, certo siamo riusciti a farvi inserire il rispetto dei contratti collettivi, ma liberalizza completamente l’appalto a cascata e non è intervenuto affatto sugli appalti privati che sono del tutto senza norme. Se guardiamo a ciò che è accaduto a Firenze scopriamo che ci sono voluti giorni per sapere chi erano i lavoratori e le ditte presenti nel perimetro del cantiere, vuol dire non esiste nessun rispetto delle regole più elementari. Non ci sono regole e per le poche che esistono non ci sono strumenti per farle rispettare.
Una cosa, tra le altre, sconcerta. Alcune delle ditte coinvolte nel disastro di Firenze erano state protagoniste solo un paio di mesi fa di un incidente analogo, per fortuna senza morti, in un cantiere sempre di Esselunga a Genova...
Questa vicenda pone alcune questioni. Innanzitutto, è vero che esiste una norma che impone la congruità tra numero di addetti e ammontare dell’appalto. Non vi è, però, una norma analoga che definisca la congruità tra opera da costruire e tempi e modi di esecuzione del lavoro. Purtroppo spesso le aziende appaltatrici, questo sembra essere uno fattori che ha portato al crollo di Firenze, pretendono tempi di consegna non coerenti con un lavoro in sicurezza. Esiste una responsabilità anche nel mondo delle imprese e delle loro associazioni. Non ho sentito un’associazione d’impresa prendere parola sui morti sul lavoro. La secondo questione che merita attenzione è che l’impresa capofila dell’opera fiorentina è totalmente partecipata Esselunga ed è la stessa dell’incidente di Genova così come sembra ce ne sia almeno un’altra presente sia a Genova che a Firenze. Naturalmente, se ci fosse la patente a punti, da tempo unitariamente chiediamo venga istituita, quella ditta non avrebbe potuto lavorare. Non è una fatalità ma il risultato di scelte o di mancate scelte.
In quel cantiere, come in moltissimi altri, c’erano decine di ditte diverse con contratti differenti non tutti afferenti alla filiera dell'edilizia. Come si fa a costruire sicurezza in un cantiere che sembra una giungla?
Non c’è dubbio che tutti i cantieri, soprattutto se grandi, hanno questa caratteristica. Tutti sono luoghi grandi come città, basti pensare ai cantieri navali o a quelli siderurgici. Non è ancora chiara la situazione di quello di Firenze, a stare alla magistratura sembra ci fossero diversi elementi di irregolarità e quella quantità di ditte fa pensare a partite Iva e a ditte individuali. In ogni caso la questione non è solo o non tanto quanti sono i contratti applicati, dentro ogni cantiere si svolgono lavori differenti a cui corrispondono contratti differenti, da quelli dell’edilizia a quelli metalmeccanici che si occupano di impiantistica, ma la questione è quali sono le modalità con cui si costringe a lavorare che spesso espongono a rischi inauditi, soprattutto i migranti.
E poi c’è il tema della formazione e dei controlli...
La formazione adeguata è indispensabile ma naturalmente spesso e solo sulla carta, tanto più se non ci sono controlli e questo accade spesso nelle piccole ditte. È indispensabile sapere chi è dentro il perimento del cantiere, per quante ore, a fare cosa. Per questo è indispensabile il cartellino di ingresso con foto e chip. Insomma servono quelle cose che rendano un cantiere un normale luogo di lavoro. E serve, per renderlo tale al di là delle norme, la responsabilità delle imprese che invece si perde man mano che i scende lunga la catena del sub appalto.
Ma non sarebbe utile trovare degli elementi unificanti in un luogo di lavoro così frammentato, dai Rls di sito alla formazione, al responsabile del coordinamento delle attività?
Non c'’è dubbio. Da tempo chiediamo rappresentanti della sicurezza di sito che abbiano tutte le agibilità necessarie, così come il sindacato deve avere una presenza che garantisca questa unificazione. Poi naturalmente è necessaria una formazione che riguardi sia rischi in senso generale sia quelli specifici sulla conoscenza di come è fatto quel luogo di lavoro. Come si vede molto dipende dalla serietà del cantiere, dubito che questi lavoratori avessero fatto le ore di formazione previste dal sistema dell’edilizia. Il tema è fare davvero formazione e avere anche quella specifica di riunificazione delle condizioni di quel luogo dove si sta lavorando. Questo secondo me non viene, tranne che rarissimi casi, fatto ed è un problema. E poi c’è la questione della formazione obbligatoria per le imprese che devono sapere quali sono le norme di sicurezza per poterle rispettare. Anche questa non sempre si fa.
Nel discorso di insediamento alla Camera, la presidente del consiglio Meloni ha utilizzato una frase che oggi sembra terribile. Ha detto: “Non mettiamo freni a chi fa”. È questa la logica che ha portato a incidenti come quelli di Firenze o sui binari della stazione di Brandizzo?
Non c’è dubbio che questi siano gli effetti della cultura del basso costo del lavoro e dello sfruttamento. Ma c’è di più, siamo a una sorta di cattiveria nei confronti dei lavoratori dipendenti, sono gli unici che pagano le tasse, gli unici che non posso scioperare e se lo fanno vengono precettati, gli unici per cui la loro sicurezza è un costo. C’è proprio una cattiveria che ha inglobato il lavoro dipendente nella cattiveria che già c’era verso i poveri. Questo si aggiunge a ciò che è stato fatto nel corso degli ultimi 15 anni, tagli alla spesa pubblica che vuol dire riduzione di ispettori e controlli, taglio alla medicina preventiva sul territorio. Il risultato è che non si fermano più i treni per fare la manutenzione della rete ferroviaria o si tolgono i presidi di sicurezza dai macchinari perché rallentano le produzioni. Insomma, la riduzione dei tempi per produrre di più che però è profondamente in contrasto con la sicurezza e con il lavoro di qualità.
Oggi sciopero di due ore a fine turno dei lavoratori dell’edilizia e dei metalmeccanici, qual è il messaggio che inviate a governo?
È la prima volta, in questo Paese, che è stato indetto uno sciopero nazionale sul tema della sicurezza. Abbiamo fatto manifestazioni, abbiamo fatto scioperi nei luoghi dove accade l’incidente, ma per la prima volta c’è uno sciopero nazionale sui temi della sicurezza. E questo non solo per l’orrore, naturalmente, di quello che è accaduto e continua ad accadere. Ma perché basta far finta che si parli di sicurezza, di esprimere cordoglio e contemporaneamente si promuove la cultura del massimo profitto a scapito del lavoro. Mancanza di sicurezza significa precarietà del lavoro, significa bassi salari, significa assenza di controlli. Lo sciopero è indetto per gli edili e i metalmeccanici, ma siamo convinti che parteciperanno tutte le altre categorie che hanno dichiarato lo stato di mobilitazione. È il segnale che non ci fermiamo più. Basta, siamo stufi degli appelli vuoti e dei finti cordogli. Devono sapere che le lavoratrici e i lavoratori non si fidano, e sono sempre sono più consapevoli che o si difendono da soli o non c'è nessuna dichiarazione di cordoglio che tenga.