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Oggi, 6 maggio, incrociano le braccia i giornalisti e le giornaliste della Rai. È la prima delle cinque giornate di mobilitazione proclamate dall’Assemblea dei Cdr e dei fiduciari di redazione a larghissima maggioranza (8 i contrari e un astenuto). Ma non è solo l’Azienda pubblica ad essere colpita.
Certo non siamo né la Polonia e nemmeno l’Ungheria – vorrebbe da dire per il momento – ma dal punto di vista della libertà di informazione non ce la passiamo tanto bene, anzi peggioriamo. A certificarlo è l’Ong Reporters Sans Frontières che ha appena pubblicato la classifica 2024 per la libertà di stampa e l’Italia retrocede di ben cinque postazioni. Certificando ciò che da tempo dicono giornalisti e giornaliste, sindacati, associazioni e quanti hanno a cuore l’articolo 21 della Costituzione che non solo tutela la libertà di informare ma anche quella di essere informati.
Le ragioni della retrocessione
Innanzitutto, scrive Rsf, tra i motivi della restrizione della libertà di informazione nel mondo c’è che in diversi paesi forze politiche tentano di “orchestrare l’acquisizione di ecosistemi mediatici, sia di media di proprietà statale che sono finiti sotto il loro controllo, sia di acquisizione di media privati da parte di imprenditori alleati”. Per quanto ci riguarda si fa cenno al fatto che proprio non va bene che la seconda agenzia di stampa stia per essere ceduta ad un parlamentare della maggioranza, peraltro già proprietario di diverse testate, il riferimento ad Angelucci e Agi non è affatto casuale.
La Rai profondamente colpita
Oggi, lo dicevamo, incrociano le braccia i giornalisti e le giornaliste della Rai, giornata di stop all’informazione che arriva dopo lo sciopero del personale del Gr Rai per difendere le redazioni sportive e di cronaca parlamentare della testata. Ma perché mobilitazione e scioperi? È presto detto: “Il controllo asfissiante sul lavoro giornalistico, con il tentativo di ridurre la Rai a megafono del governo, l’assenza dal piano industriale di un progetto per l’informazione della Rai, le carenze di organico in tutte le redazioni, il no dell’azienda ad una selezione pubblica per giornalisti, la mancata sostituzione delle maternità, la disdetta dell’accordo sul premio di risultato, senza una reale disponibilità alla trattativa, la mancata stabilizzazione dei colleghi precari”.
Tanta la solidarietà
In realtà non si tratta solo di essere solidali con quanti scioperano, ma di condivisione delle regioni della protesta. Dice Riccardo Saccone, segretario nazionale della Slc Cgil: “È una piattaforma che pone un tema più generale, quello della libertà di informazione, oltre che le questioni aziendali. Siamo molto preoccupati perché l’azienda è sempre più stritolata dal meccanismo della compatibilità politiche. Oggi stanno arrivando al pettine i malfunzionamenti di una governance resa ancora più folle dalla riforma del 2016, e allora succede che proprio a causa delle compatibilità di cui parlavo prima, si sommino le censure effettive che arrivano dalla politica con le autocensure di chi cerca di essere più realista del re. E condividiamo la necessità di superare le sacche residue di precarietà non solo per restituire la dignità del lavoro anche a chi si trova in quella condizione contrattuale, ma perché chi è precario è assai più ricattabile e meno libero rispetto a chi ha un contratto stabile”.
Controllo asfissiante e pressioni
La dimostrazione di quanto sia vero che esiste un tentativo di controllo e restrizione della libertà è contenuto nella lettera inviata ai propri iscritti dal neonato sindacato Unirai, quello nato l’arrivo della destra al governo del Paese e della Rai. Un vero e proprio “invito pressante” a non scioperare: “Chi per sbaglio si ritrova di riposo chieda di cambiare”. E ancora: “Facciamo vedere che Unirai può mandare avanti l’azienda. E che con i suoi iscritti è in grado di raccontare tutto quello che succede, da New York a Lecce”. Dimenticando che a indire lo sciopero è stata l’assemblea dei Cdr.
Preoccupazione che va oltre i giornalisti
In realtà ciò che accade in Rai va oltre i giornalisti e le giornaliste ed è per questo che occorre stare al fianco a chi rinuncia a giornate di salario per porre questioni che riguardano tutti i cittadini e le cittadine. È evidente infatti la volontà di chi ci governa di indebolire sempre più l’Azienda. A cominciare dall’incertezza sulle risorse disponibili. L’ultima legge di bilancio ha ridotto il canone assicurando che la differenza arriverà dalla fiscalità generale. Siamo a maggio e ancora non si sa cosa succederà il prossimo anno, non è ancora nemmeno stato stabilito come verrà raccolto e a quando ammonterà, se ci sarà, il canone. “È una vera follia – chiosa il dirigente sindacale – è una miscela esplosiva che pone un vulnus alla libertà di informazione e mette a serio rischio l’azienda”.
Futuro assai incerto
E la preoccupazione aumenta se si considera che la Rai non è solo informazione – ha 13mila dipendenti tra giornalisti, autori, conduttori, impiegati, tecnici – è stata una vera eccellenza, ha prodotto innovazione, contenuti, cultura, oltre che informazione. “Oggi tutto questo è a rischio – aggiunge Saccone – tanto più in un’epoca di rapidissima transizione digitale, siamo in pieno cambiamento dei modelli di fruizione dei contenuti e la Rai è bloccata. E siamo al paradosso che da un lato oltre all’incertezza sul canone, si rischia l’abbassamento degli introiti pubblicitari, e si è in presenza di un debito assai oneroso. Contemporaneamente si dovrebbe trasformare l’azienda un Digital Media Company ma quasi senza risorse”. Il risultato è che per far cassa si continua a svendere pezzi importanti del patrimonio.
La posta in gioco è il futuro del servizio pubblico
Nei giorni scorsi, racconta Saccone, sono state lanciate raccolte di firme per l’abolizione del canone, in pochi giorni si è superata la soglia delle 40mila. Qual è il vero obiettivo? Secondo il dirigente sindacale è abbastanza chiaro: “Nel 2027 scade la convenzione decennale che assegna alla Rai il ruolo di assolvere al servizio pubblico, è lì che si gioca la partita. Qualcuno proverà a dire che non è scritto da nessuna parte che deve essere proprio Rai o esclusivamente Rai ad assolvere a questo compito. E il gioco sarò compiuto”.
Sacche di resistenza
La prima vera pietra di inciampo nel disegno del governo di occupare l’azienda per costruire una diversa narrazione del Paese, l’hanno posta alcuni candidati al nuovo Cda in scadenza. Nino Rizzo Nervo (candidato e ex consigliere Rai), ex dirigenti come Stefano Rolando, Patrizio Rossano e Giulio Vigevani, avvocato e professore di diritto costituzionale alla Bicocca, insieme all’ex presidente della Rai, nonché costituzionalista, Roberto Zaccaria che si è definito il garante dell’iniziativa, hanno presentato un ricorso al Tar del Lazio per bloccare la procedura di rinnovo del Cda. La procedura adottata, secondo i firmatari, sarebbe in contrasto con una sentenza della Consulta la n.225/1974 e con il Media Freedom Act appena approvato dall’Europa. A sostegno di tale iniziativa, presentata nei giorni scorsi alla Camera, Articolo 21, Slc Cgil, Usigrai, Ucsi, Infocivica, TvMediaWeb, Rete No Bavaglio, MoveOn, Eurovisioni.
Resistere, resistere, resistere
Per salvare la Rai occorre cambiare la governance dell’azienda togliendola dal cappio del governo di turno. Ma soprattutto occorre restituire al servizio pubblico il valore di bene comune. “Per questo – conclude il segretario nazionale della Slc – da tempo assieme alla Confederazione abbiamo riaperto la riflessione e il lavoro sulla Rai iscrivendolo per percorso della Via Maestra. È in gioco la tenuta democratica del Paese”.