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Un posto a tutti i costi. La crisi ha ridotto a tal punto le aspettative delle persone che ormai sono disposte a ogni sorta di compromesso pur di agguantare un impiego. Così è successo in questi giorni a Rovigo, la denuncia è della Cgil provinciale, che alcuni giovani assunti nel nuovo polo logistico di Amazon, non avendo alternative, abbiano passato più di una notte in macchina o stretti nel sacco a pelo, in uno dei paesi del circondario, pur di poter lavorare.
Andiamo per ordine. Siamo nella provincia veneta con il livello di spopolamento più alto – meno 11 mila abitanti negli ultimi 10 anni –. Amazon decide di aprire lì il suo nuovo sito, sfruttando l’incrocio geografico di una terra che diventa cerniera strategica tra Veneto, Lombardia ed Emilia. Il capannone, a circa 20 chilometri dalla città, si trova lungo la superstrada transpolesana che corre verso Verona, vicino a due paesi che contano in tutto 2500 abitanti, San Bellino e Castelguglielmo. L’annuncio del colosso dell’e-commerce è di assumere, a tempo indeterminato, 900 persone entro tre anni, rendendo di fatto il sito il secondo datore di lavoro del territorio dopo la Usl che ha duemila dipendenti. Ingolositi da un’occasione così ghiotta – al netto delle tradizionali criticità legate ai diritti dei lavoratori che la ditta di Bezos si porta dietro ovunque – Regione ed enti locali restano sordi al tentativo dei sindacati di fare contrattazione cosiddetta di anticipo sul territorio, cercando di coinvolgere la multinazionale e promuovere il concetto di responsabilità sociale d’impresa. Di preparare, in poche parole, un territorio così piccolo e spopolato a contenere e organizzare l’impatto di un vero e proprio tsunami umano.
“Amazon apre i battenti il 21 di settembre”, ci racconta il segretario generale della Cgil di Rovigo, Pieralberto Colombo. Il circo è sempre lo stesso. Quello di un capannone brulicante di operai e magazzinieri con il compito di scaricare la merce dai camion, confezionarla – tutto si sviluppa in altezza, pacchi di piccole dimensioni, al massimo una scatola di scarpe, tutto automatizzato – ordinarla e infine ricaricarla sui camion pronta per essere spedita. “Al netto del loro piano triennale – ci dice il segretario – ad oggi i dipendenti sono 200. Le assunzioni sono state affidate alle agenzie interinali, Adecco e Manpower. Per le figure medio alte sono scattati i tempi indeterminati con contratto della logistica. Gli altri sono entrati con contratti precari, breve durata, due, tre mesi, una quota di part time o di mog, monte ore garantito, di 16 ore settimanali, che Amazon può decidere di aumentare fino a un massimo di 39”.
Una scossa per quel piccolo territorio con poche aziende e l’eco di una vocazione agricola ancora udibile. Una scossa tale che il tasso di disoccupazione locale non riesce a contenerla tutta e i curricula selezionati iniziano a piovere da fuori. “Il raggio di ricerca si allarga. Dal circondario arriva fino ad Adria, a 60 km di distanza. Ma non basta. E iniziano ad arrivare i primi lavoratori da Calabria, Sicilia e Puglia”. È qui che si genera il primo cortocircuito. Il sistema, senza la contrattazione d’anticipo proposta dai sindacati, non riesce ad allocare chi proviene da fuori. Di case in affitto non ce ne sono tante e la richiesta fa alzare i prezzi tradizionalmente bassi anche del 20 o 30 per cento. I contratti brevi e le paghe basse non rendono certo questi lavoratori dei buoni affittuari. Così succede che chi non può permettersi di rinunciare al posto e viene da lontano, non avendo alternative concrete, decida di dormire in macchina o per strada, nei sacchi a pelo. Senza contare che non è stato previsto un trasporto pubblico che faccia fermate nei pressi dei cancelli dello stabilimento. In un attimo il capannone di Amazon sembra diventare come i campi delle raccolte agricole. I problemi che scoppiano sono gli stessi.
“In tanti iniziano a chiamarci, ci appare sul telefono la scritta numero privato, perché chiedono aiuto ma hanno paura di perdere il posto. È evidente che si apre una riflessione sulla qualità del lavoro, dei contratti e, di conseguenza, sulla qualità della vita”.
Cosa avreste potuto fare giocando d’anticipo? “Se non crei condizioni e servizi adeguati rischi di fare danni. Considera che Amazon, contemporaneamente, ha iniziato a incentivare la nascita di piccole ditte di trasporto, noi li chiamiamo padroncini, che andranno a costituire l’indotto e l’appalto delle consegne. Su chi si mette in proprio investe, più o meno, 10-15mila euro. Soldi che, se gli enti locali ci avessero dato retta, avremmo potuto dirottare, almeno in parte, considerando gli utili enormi del gruppo, sulla riqualificazione di abitazioni sfitte, creando magari un sistema di cohousing”.
Un problema che sicuramente salterà fuori a ogni momento di picco coincidente con il calendario e le trovate tipiche di Amazon. Ogni Natale, Pasqua, prime day o blackfriday quel lembo di terra sarà invaso da un esercito di precari di riserva chiamati per aumentare i ritmi. “Quindi quella della contrattazione d’anticipo, sotto la regia della confederazione, coinvolgendo tutte le categorie interessate, Nidil, Filt e Filcams, resta fondamentale. Senza contare – ci dice Pieralberto Colombo – i lavoratori dei servizi in appalto, dalle pulizie alle mense. E gli stessi operatori delle agenzie interinali, sotto torchio in questi mesi e già esauriti: ogni dieci curricula vagliati e proposti all’azienda, se ne sentono richiedere altri venti, a ritmi, anche lì, da catena di montaggio. Ribadendo il concetto che per noi dovrebbe essere la stessa Amazon, visto che macina utili a doppia o tripla cifra ogni anno, a contribuire a risolvere questi problemi alimentando un fondo che favorisca interventi di natura abitativa, in una logica di responsabilità sociale d'impresa”.