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Il progetto di reindustrializzazione è fallito. E la (breve) storia della Roncadelle Operations di Brescia sembra già arrivata a conclusione. Venerdì 5 gennaio la società produttrice di siringhe monouso ha infatti dichiarato 39 licenziamenti (tutte donne): più della metà del personale dello stabilimento di Roncadelle. Le trattative per la gestione degli esuberi e la definizione di accordi anche di sostegno economico, sono in corso.
La società si era costituita per la reindustrializzazione della Invatec-Medtronic, multinazionale statunitense attiva nel settore biomedicale, che il 7 giugno 2018 aveva annunciato la chiusura dei due siti produttivi bresciani e il contestuale licenziamento dei 330 dipendenti. A quella dichiarazione fece seguito il tavolo di crisi all’allora ministero dello Sviluppo economico che portò nell’agosto 2019 all’individuazione del soggetto per la reindustrializzazione.
Il 1° febbraio 2021 la newco Roncadelle Operation acquisisce per trasferimento di ramo d’azienda tutto il personale rimasto (201 dipendenti) della multinazionale. L’investimento previsto è pari a 60 milioni di euro; l’obiettivo è la produzione, mediante un nuovo brevetto, di siringhe monouso con ago retrattile.
Il commento dei sindacati
“Il progetto di reindustrializzazione non ha funzionato”, spiegano Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil di Brescia: “Ha subìto fermi, cambi di programma e di brevetto (da Retrago a Safer), rallentamenti nel periodo Covid, mancanza di materie prime e modifiche del piano industriale. E negli anni abbiamo utilizzato gli ammortizzatori sociali per affrontare questa situazione”.
All’inizio è stata concessa la cassa integrazione straordinaria per reindustrializzazione, trasformata nel luglio 2022 in contratto di solidarietà per 18 mesi (a fronte di 130 esuberi dichiarati allora), accompagnato da un piano di incentivi all’esodo (valido fino al 31 dicembre scorso). “L’azienda – proseguono le tre sigle – ha anche attivato politiche attive per il ricollocamento attraverso outplacement: iniziativa che ha prodotto risultati pari a zero. Infatti, tutte le persone che hanno trovato altre occupazioni lo hanno fatto individualmente o con canali diversi”.
Ma anche i 18 mesi di solidarietà sono finiti: “A fronte del fallimento industriale del progetto, l’assenza o scarsità di ordini e gli alti costi di investimento (capannone, macchinari, brevetti, personale), l’azienda ora dichiara la riduzione della forza lavoro e del piano industriale, licenziando di fatto la quasi totalità del personale in produzione e scegliendo di indirizzare le risorse alla ricerca e sviluppo”.
Per Filctem, Femca e Uiltec il progetto di fatto “è stato un fallimento: la siringa non si vende, molti sono i problemi e molti i difetti, molte le rivisitazioni. I 60 milioni di euro d’investimento non hanno fruttato. Avevamo sperato in un progetto di reindustrializzazione che trovasse corpo e gambe, e che mantenesse l’occupazione. Ma non sono bastate le presentazioni in pompa magna fatte all’epoca perché ciò funzionasse, garantendo stabilità e lavoro”.
Oggi sono impiegati nello stabilimento 72 persone: 39 saranno licenziate, resta il settore ricerca e sviluppo e un’automazione spinta, ammesso che arrivino gli ordini. “Le assemblee in questi giorni denunciano rabbia, sofferenza e preoccupazione”, concludono i sindacati: “Ci avevamo sperato, alla fine a pagare sono sempre le lavoratrici. Resta, oltre al fallimento del progetto, la denuncia per l’assenza di una politica industriale nel territorio e, soprattutto, la difficoltà enorme di ricollocazione della forza lavoro femminile non più giovane”.