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Ce lo dice l’Europa. Anzi, addirittura l’Ocse: la differenza tra gli stipendi dei docenti italiani con quelli del resto d’Europa continuano a essere marcati. I dati arrivano dal recente rapporto “Education at a Glance 2022” e non lasciano adito a dubbi.
Il distacco è notevole in tutti i gradi di scuola ed è massimo per quanto riguarda gli insegnanti della scuola primaria la cui differenza rispetto alla media retributiva degli omologhi europei è del 15,7%, cioè 6.286 dollari. Tra i docenti di scuola media di primo grado la distanza è del 14% (-6.033 dollari), mentre i docenti della scuola superiore percepiscono il 12,7% in meno (-6.694 dollari) rispetto alla media dei colleghi dell’Unione europea. Per operare questi raffronti i ricercatori hanno considerato i docenti con 15 anni di servizio, che rappresenta la condizione media di tutta la categoria. Prendendo come misura l'euro, la distanza è ancora più marcata.
Anche la Spagna ci supera
C’è anche una sorpresa. Se infatti non desta meraviglia il fatto che il divario è netto con paesi come la Germania (le cui retribuzioni sono oltre il doppio di quelle italiane) e la Francia (-3.783 euro) colpisce la distanza con la Spagna: addirittura -8.327 euro l'anno.
Altro dato che colpisce è quello del medio periodo: tra il 2010 e il 2021 in Italia le retribuzioni dei docenti di scuola media sono diminuite di circa 6 punti a fronte di un incremento di quasi 2 punti delle retribuzioni medie europee dei docenti dello stesso livello di scuola.
La scelte professionali
La questione salariale d’altro canto è molto importante anche perché incide con forza nelle scelte lavorative delle persone. Nel nostro Paese un docente di scuola superiore guadagna circa il 22% in meno rispetto a un lavoratore di altro settore con stesso titolo universitario, condizione questa che rende sicuramente poco attrattiva per i neo-laureati la professione d'insegnanti.
In altri paesi questi divari non sono così marcati: in Europa un insegnante di scuola superiore ha una retribuzione mediamente inferiore del 5% rispetto a un altro lavoratore con pari titolo terziario.
Il valore dell'istruzione
Queste differenze sono conseguenza non solo delle diversità economiche e sociali che caratterizzano i vari paesi, “ma anche della considerazione e della rilevanza che alcuni di essi, a differenza di altri, attribuiscono all’istruzione e alla scuola pubblica. A parole, infatti, tutti sono pronti a riconoscere l’importanza della formazione per il benessere e lo sviluppo dei singoli paesi, ciò che li differenzia è poi la volontà effettiva di dare seguito a tali dichiarazioni con impegni concreti”, commenta la Flc Cgil.
Una spia efficace di questa differenza di comportamenti ce la fornisce la misura degli investimenti economici che ciascun paese destina a questo obiettivo. “Non è un caso, ad esempio, che in Italia la percentuale della spesa pubblica complessiva che viene destinata all’istruzione (dall’infanzia alla scuola secondaria) sia solo il 5,8% a fronte di una media europea del al 7,0%, una differenza che in termini assoluti pesa per circa 10 miliardi di euro”, ricorda il sindacato della conoscenza della Cgil.
Insomma: se l’Italia vuole restare al livello delle più importanti democrazie europee, in termini sia sociali che economici, deve adeguarsi ai livelli d'investimento che già altri paesi destinano a questo obiettivo.
Rinnovare il contratto
La strada ovviamente non può essere quella dei premi quasi ad personam: il riferimento è al recente decreto del ministero che riconosce più salario ai docenti che rimangono nella stessa scuola per cinque anni, una decisione che sottrae questa materia alla contrattazione. Né tanto meno la risposta è quella di inventare nuove figure, come quella del “docente esperto”.
Bisogna invece cominciare dal contratto, scaduto da oltre tre anni e con sul tavolo ipotesi di aumenti che i sindacati giudicano del tutto inadeguate.
Quindi, “sarebbe un segnale di gran rilievo se finalmente la trattativa per il rinnovo venisse portata a conclusione riconoscendo ai lavoratori della scuola quegli adeguamenti salariali necessari non solo a equiparare gli stipendi italiani ai livelli europei ma soprattutto per valorizzare un lavoro e una funzione fondamentali per le nuove generazioni e più in generale per il futuro del Paese”.