Uffici chiusi, lavoratori licenziati, servizi azzerati, investimenti ridotti all’osso. Saranno questi gli effetti delle privatizzazioni annunciate dalla premier Giorgia Meloni in gennaio, e che ora si stanno concretizzando. La motivazione ufficiale è la riduzione del debito pubblico: l’esecutivo si attende 20 miliardi di euro in tre anni, pari ad appena lo 0,71 per cento del debito. Praticamente una goccia nel mare.
La realtà è ben diversa. Si lascia spazio al mercato e alla deregulation, si fanno entrare i privati nei grandi asset nazionali (come Poste Italiane, Eni e RaiWay). Ed è del tutto evidente che i privati acquisteranno quote azionarie delle grandi aziende pubbliche italiane solo per guadagnarci sopra. Il governo, insomma, si arrende ai poteri forti della finanza.
La Cgil dice no. Perché le privatizzazioni hanno già fallito in passato, perché così si distruggono occupazione e professionalità, perché fare cassa è il contrario di avere una visione di sviluppo. Perché economicamente non conviene: è più ciò che si perde che quello che si guadagna. E perché, soprattutto, i cittadini, ognuno di noi, perderà qualcosa: un servizio, un posto di lavoro.
Da oggi parte la nostra campagna per fermare questo scempio. L’abbiamo chiamata Saldo nel vuoto. Perché il governo svende i gioielli di famiglia, li mette appunto a “saldo”, facendoci precipitare nell’abisso. Nelle prossime settimane analizzeremo ogni singola cessione, dimostrando ancora una volta come questo governo fa gli interessi della grande finanza, non certo di noi italiani.