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Due storie che testimoniano un’attualità del lavoro fatta di inaccettabili ricatti.
Al Mudec di Milano, il Museo delle Culture, 9 lavoratrici degli appalti hanno perso il posto alla vigilia di questo Primo Maggio. La loro colpa è stata quella di rifiutare in blocco, nel momento in cui è cambiato l’appalto, la proposta, da parte della nuova azienda, di un lavoro a chiamata al posto del contratto a tempo indeterminato che avevano in precedenza. Sullo sfondo di una situazione già grave, in un settore, quello dell’arte, ridotto ai minimi termini dalla crisi pandemica, ha pesato come un macigno la mancata applicazione, da parte del committente, della clausola sociale, uno strumento che avrebbe garantito ai lavoratori la propria occupazione.
Alla Zilmet di Padova i padroni insultano i lavoratori, pretendono la loro sottomissione, esercitano una violenza verbale costante che porta molti dipendenti alle lacrime. L’azienda nega gli spazi per le assemblee, non rispetta gli accordi, interrompe le relazioni sindacali e non comunica il numero dei contagi da Covid o le situazioni di quarantena. I lavoratori hanno detto basta e ieri, alla vigilia di questo Primo Maggio, hanno scioperato.
Eccole due storie che purtroppo dicono molto di ciò che sta diventando sempre più in Italia il pane quotidiano avvelenato di chi per vivere ha bisogno di lavorare. Storie in cui il lavoratore è una vittima, trattato senza rispetto e senza dignità. I suoi diritti sono un’arma di ricatto, merce di scambio per ottenere sempre di più a un costo sempre minore. Storie in cui il valore del lavoro si è trasferito nel principio aureo del massimo ribasso.
Contratti sempre più scadenti, condizioni sempre più vessatorie e la pretesa sottomissione totale del lavoratore. Allo scopo di generare profitti sempre più alti.
Buon Primo Maggio, a chi il lavoro l’ha perso per non perdere la dignità e a chi ha scioperato contro i soprusi del padrone.