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Se il presente assomiglia così tanto al passato. Se questo Primo Maggio come gli ultimi che l’hanno preceduto costringono l’opinione pubblica a riflettere sui passi indietro che la nostra società ha fatto negli ultimi due decenni, dopo la lunga fiammata di progresso, benessere e conquista dei diritti che ha caratterizzato lentamente ma inesorabilmente il secondo dopoguerra.
Se il caporalato nelle campagne è tornato ai metodi del primo Novecento e nelle mani e nei visi e nelle schiene spezzate dei migranti di oggi curvi per ore sotto al sole rivive l’esperienza di Giuseppe Di Vittorio, resa ancor più spaventosa dall’essere straniero in una terra sconosciuta e sognata come il paradiso dopo aver affrontato una vita e un viaggio d’inferno.
Se lo sfruttamento negli appalti ti lascia senza tutele, con paghe da fame e un senso di ingiustizia che sembra incolmabile.
Se la madre di quella ragazza, Luana D’Orazio, morta stritolata in un macchinario in una fabbrica tessile dei dintorni di Prato a poco più che vent’anni, ne aspetta ancora il ritorno a casa, dopo tre anni, anche se sa già che non tornerà. Se il suo bambino sta lentamente dimenticando la sua voce, il suo sorriso, il suo viso persino.
Se pensate che il presente non assomigli così tanto al passato, chiedetelo a uno di quegli edili che ogni giorno cade dall’alto in cantiere e ci rimette la vita, proprio come accadeva cinquanta o settanta anni fa.
O chiedetelo a una donna che deve scegliere tra lavoro e maternità. Perché non ci sono i nidi, perché non ci sono i soldi, perché il suo stipendio è troppo più basso di quello del collega, perché la obbligano a un part time o la scelta diventerebbe obbligata per conciliare i tempi di vita, ma a quel punto non conviene più inseguire una carriera.
Se il Presidente della Repubblica è costretto, nel giorno della Festa dei Lavoratori, a ribadire che mille morti all’anno è un prezzo inaccettabile all’incuria della politica e all’avidità dell’impresa.
Se la Cgil, se Maurizio Landini, se i sindacati sono inchiodati a parlare di questo ogni giorno perché almeno qualcuno lo ricordi al resto del mondo.
Ecco, se il presente assomiglia così tanto al passato, il Primo Maggio continuerà a essere un giorno di mobilitazione più che un giorno di festa. E le piazze continueranno a riempirsi, in attesa che la modernità e il progresso di cui tanto parlano ovunque ci porti davvero a un presente di giustizia sociale, ci porti davvero a quello che avremmo pensato sarebbe stato il 2024.