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I precari del Cnr - il più grande ente di ricerca italiano - sono circa 4.000. Ma i numeri non sono certi. Quel che è certo è che sono, spesso da tanti anni, in attesa di una stabilizzazione che continua a non arrivare. Per questo motivo sono in assemblea permanente dal 28 novembre scorso, con di sindacati di categoria di Cgil, Cisl, Uil e i Precari uniti.
Lo Stato, insomma, è un “padrone” che non sa neanche quanti sono una parte importante dei propri lavoratori. “Dei dati ce li hanno forniti - racconta Marilena Ripamonti, responsabile Cnr per la Flc Cgil - ma non sono attendibili: per esempio hanno detto che non ci sono assegnisti di ricerca con più di cinque anni di contratto, ma non è vero, li conosciamo, e in una delle assemblee di queste settimana una di loro si è alzata e ha detto: ‘eccomi, sono qua, la prova vivente che questa situazione esiste’. Molti di questi lavoratori hanno contratti in scadenza e rischiano dunque di perdere il proprio lavoro a breve”.
Precari anche da 15 anni
Tra i circa 4.000 precari ce ce ne sono alcuni che lavorano con contratti a termine anche da 15 anni, “ma la presidente del Cnr, Maria Chiara Carrozza, ha detto chiaramente che le stabilizzazioni non le vuole fare, che vuole procedere con i concorsi. Ma non è giusto, ed è per questo che abbiamo deciso di costituirci in assemblea permanente”, attacca Ripamonti.
Si aspetta così un segnale della politica che, almeno parzialmente è arrivato. Proprio ieri un emendamento alla legge di bilancio voluto da Pd, Avs e M5S ha stabilito uno stanziamento di 30 milioni per le stabilizzazioni al Cnr nei prossimi tre anni. “Si tratta di un segnale importante - riprende la sindacalista - di cui la presidente del Cnr dovrà tener conto, ma certo non sufficiente per tutti”. D’altra parte, al di là della volontà politica della sua dirigenza, il Cnr spende il 94% del proprio fondo ordinario per pagare gli stipendi, quindi è ovvio che da solo non ce la può fare: serve un intervento della politica che, almeno per ora, è arrivato solo parzialmente.
Quanti sono, nessuno lo sa
Occorre prima di tutto fare una ricognizione precisa di quanti siano i precari e della loro situazione contrattuale e quindi procedere con le stabilizzazioni, a partire da quelli che ne hanno diritto secondo il dlgs Madia numero 75 del 2017 che scade nel 2026 e che fissava in tre anni di anzianità il requisito per l’assunzione a tempo indeterminato.
Alcuni di essi sono legati ai progetti Pnrr e quindi in scadenza, ma magari vengono da precedenti contratti a tempo determinato o assegni di ricerca o avranno entro un paio di anni i requisiti previsti dal decreto Madia: insomma bisogna fare chiarezza sulle diverse situazioni.
Naturalmente, precisa la dirigente sindacale, “ci batteremo affinché tutti siano stabilizzati e per questo chiediamo un intervento straordinario del governo. Quanto dico tutti intendo non solo i ricercatori, ma anche il personale amministrativo, i tecnologi. Non è solo la rivendicazione di un sacrosanto diritto dei lavoratori, è in gioco il futuro del paese in un settore cruciale come quello della ricerca. Se i contratti si interrompono si interrompono anche infrastrutture di ricerca avviate, un danno enorme per il Paese. La nostra battaglia non è solo per il futuro dei ricercatori del Cnr, ma anche per il futuro del Paese”. Alcuni dei precari, tra l’altro, sono rientrati dall’estero: non un bel segnale se si vuole fermare la cosiddetta fuga di cervelli.
Le responsabilità della politica
In questi giorni non è un caso che sono venuti a portare la loro solidarietà tanti dirigenti importanti dei partiti d’opposizione, oltre naturalmente al segretario generale della Cgil Maurizio Landini. Si spera però che tutta la politica dia un segnale importante. Il problema ovviamente non riguarda solo il Cnr, i precari esistono in tanti enti pubblici di ricerca, mentre nella legge di bilancio in discussione per il settore non c’è praticamente niente e anzi, attacca Fioramonti, “si prevede la riduzione del turn over al 75%, il che vuol dire programmare una riduzione di personale”.
Il che ovviamente non ha senso se si vuole essere a livello dei “pari grado” europei. “Ricordo solo - conclude - che il Cnr francese e quello inglese hanno il doppio dei dipendenti italiani e quello francese addirittura il triplo. Speriamo che dalla legge di bilancio arrivi qualcosa di importante, ma dubito fortemente che ciò possa accadere”.