Nel 2002 l’Istat progettò un’innovazione importante, forse la più rilevante fra le tante “modernizzazioni” degli ultimi decenni che sono state introdotte per rendere più efficaci e di qualità le rilevazioni statistiche.

Molte indagini dell’Istat, soprattutto quelle condotte in ambito sociale, infatti erano (sono) effettuate sul campo da rilevatori scelti e impiegati dai Comuni. I Comuni non sono felici di questo ruolo. Hanno difficoltà a selezionarli, a gestirli contrattualmente e a pagarli: spesso i rilevatori erano – e sono – pagati con mesi di ritardo.

L’Istat decise quindi, per migliorare l’efficacia, la continuità e la qualità delle proprie indagini, di provare a gestire direttamente l’attività di rilevazione sul campo, almeno per una delle sue più grandi indagini: quella sulle Forze di lavoro (Fol). Si tratta di un’indagine che proprio in quegli anni divenne “continua” e cambiò sensibilmente nella progettazione delle varie fasi (il regolamento comunitario n. 577/98 prevede lo svolgimento di un’indagine armonizzata), che oggi si articolano in una prima intervista diretta a un campione di famiglie a cura di un rilevatore che si reca presso l’abitazione con un Pc portatile (Capi), e in ulteriori interviste a distanza di tempo, effettuate per telefono (Cati).

Una rete capillare

È l’indagine attraverso la quale sono prodotti i principali dati ufficiali sull’occupazione in Italia. Da qui i tanti titoli di giornale negli anni sui “precari che intervistano precari”. Con grande fatica e impegno, l’Istat riuscì a creare, nel giro di alcuni anni di “sperimentazione”, una rete capillare sul territorio italiano di oltre 300 rilevatori, impiegati con contratti di collaborazione (co.co.co.).

Finita la sperimentazione siamo all’inizio del periodo di tagli e blocchi relativi al pubblico impiego. L’Istat non vuole assumere direttamente i rilevatori, rifugiandosi dietro questioni economiche (e anche normative): vorrebbe creare una società privata in house per continuare a tenerli come collaboratori, ma servirebbero soldi e autorizzazioni che non arrivano.

Si arriva così, dopo anni di incertezze, deroghe e proroghe dell’ultimo momento, manifestazioni sindacali, conferenze stampa e battaglie dentro e fuori dall’Istat, all’epilogo peggiore: l’esternalizzazione. L’Istat nel 2009 mette su una gara e la vince Ipsos, che – non senza difficoltà – fa transitare gli oltre 300 rilevatori nella sua società, sempre con contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

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Arriva l’esternalizzazione

L’Istat ha imposto nel bando una sorta di clausola sociale di fatto e anche un compenso per intervista minimo, che fa sì che il passaggio sia abbastanza indolore in termini salariali e contrattuali. Ma i lavoratori sono arrabbiati, e cercano – sostenuti dalla Flc Cgil – in via giudiziaria un’opzione migliorativa, che riconosca la natura subordinata del loro lavoro e quindi trasformi il loro contratto, stabilizzandoli.

Purtroppo i diversi gradi di giudizio (fino alla Cassazione, arrivata a fine 2023) hanno dato torto ai lavoratori. Nel frattempo l’esternalizzazione è diventata totale. L’Istat ha infatti esternalizzato anche il lavoro di gara di appalto, incaricando la Consip, che non ha voluto più nessuna “clausola sociale” (nemmeno implicita) o minimi retributivi. Per altre due volte ha vinto l’appalto Ipsos, anche quando si è esteso a due indagini: oltre a quella sulle forze di lavoro, infatti, i rilevatori si occupano anche delle interviste per l’indagine sulle spese.

Niente contratto collettivo

Nel 2023-2024 l’ultima gara ha visto un altro raggruppamento vincitore. Ne fanno parte le società Csa, Intellera ed Emg, che ha da subito messo in chiaro che non avrebbe contrattato con i sindacati sulle condizioni di lavoro dei rilevatori che, essendo parasubordinati, non avrebbero diritto a un contratto collettivo vero e proprio. Non vuole garantire la continuità occupazionale né quella salariale (considerando che già negli ultimi anni della gestione Ipsos i rilevatori avevano sofferto, come tutti, della forte inflazione che si è registrata in Italia nel 2022 e 2023.

Csa (insieme ai suoi partner) ha imposto contratti di quattro mesi, con decurtazioni delle retribuzioni fino al 30% rispetto ai compensi percepiti nell’appalto precedente. Le lotte in questi mesi, organizzate dai sindacati dei lavoratori parasubordinati Nidil Cgil, Felsa Cisl e Uiltemp, hanno visto i rilevatori scioperare per vari giorni, manifestare a Roma davanti all’Istat, sotto la sede di Csa e anche alla conferenza di statistica di inizio luglio.

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Nonostante questo, pochissimo è stato ottenuto, e l’Istat è apparso inerte o incapace di intervenire per tutelare la rete dei rilevatori: un patrimonio per la propria mission che rischia seriamente di essere disperso con questo ultimo passaggio di appalto. Una parte dei rilevatori non ha voluto comunque firmare il contratto con la nuova società: c’è un limite alla dignità personale e per loro è stato oltrepassato.

Una lotta infinita

La Flc Cgil dell’Istat, che in questi anni non ha mai smesso di appoggiare in modo concreto i rilevatori e le rilevatrici (e che ha cercato con le varie amministrazioni che si sono succedute di riportare all’attenzione il tema della necessaria reinternalizzazione della rete di rilevazione) ha risollevato la questione nuovamente in questi mesi. In occasione del primo incontro con il nuovo presidente Francesco Maria Chelli a metà luglio ha posto tra le priorità del suo mandato una inversione di rotta proprio sul tema della gestione delle rilevazioni sul campo: fase di primaria rilevanza della produzione di informazione statistica, che l’Istat deve ricominciare a gestire direttamente.

Per questo ci aspettiamo un intervento immediato per cercare di non distruggere il patrimonio di capitale umano accumulato in 20 anni e più, e subito dopo un ragionamento strutturato su come ricondurre la raccolta dei dati nelle attività che l’Istat controlla, nell’ambito del Sistan, assicurandone la qualità e la continuità.

Lorenzo Cassata, ricercatore Istat e responsabile del comitato di ente per la Flc Cgil