Lavoratrici e lavoratori come pacchi. Cittadini come numeri. Poste Italiane ha annunciato senza mezzi termini la chiusura di centinaia di uffici su tutto il territorio nazionale, in risposta a un piano di “razionalizzazione delle forze” che prevede l’abbandono definitivo di alcune sedi e lo spostamento dei lavoratori in altre. Da Nord a Sud, una raffica di tagli che incideranno principalmente sul costo del lavoro e sui servizi – a questo punto negati – alla cittadinanza.

UFFICI CHIUSI, PERIFERIE ISOLATE 

Si pensi al Piemonte, dove cinque uffici stanno per chiudere solo nella città di Torino. “Si tratta di sedi situate in zone periferiche – spiega Salvatore De Luca, che segue il settore per la Slc Cgil regionale –, chiuderli significa privare il territorio di un servizio essenziale, che dovrebbe essere capillarmente garantito”. Parliamo di contesti dove è più facile riscontrare condizioni di disagio sociale, economico, logistico. La chiusura di questi uffici li renderebbe ancora più isolati  dal resto della città.

REGIONE PIEMONTE: “PRONTI AD APRIRE UN TAVOLO”

“C’è poi una condizione perversa – prosegue De Luca – si chiudono queste sedi per mandare i lavoratori a dare supporto dove c’è un problema di carenza di organico”. Che vuol dire, in parole semplici, creare un disagio per far fronte a un altro. O, più prosaicamente: tappare i buchi. Dipendenti, cittadini e organizzazioni sindacali si sono mossi immediatamente, organizzando dei presìdi sul territorio, che hanno già avuto una prima risposta: “La Regione ci ha convocati insieme all’azienda per aprire un tavolo”, dice Alberto Revel, segretario generale Slc Piemonte, che spiega come solidarietà immediata sia arrivata dalle istituzioni locali, tra cui la Regione, appunto, e il sindaco di Torino.

SERVIZIO UNIVERSALISTICO A RISCHIO

“Il Comune ha preso posizione sulla vicenda, sono state avviate delle interrogazioni urgenti – dice Revel – rispetto a quella che è una grande stortura: un’azienda che si vanta di unire l’Italia e che con azioni del genere non fa altro che dividerla”. Non andrebbe, infatti, dimenticato, il ruolo sociale – nonché proprio per questo di fatto monopolistico – di Poste che invece, come già denunciato dalle organizzazioni sindacali, così rinuncia de facto al concetto di servizio universalistico.

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L’INGANNO DEL PROGETTO POLIS

“Sono circa 500 gli uffici postali che in tutta Italia rischiano di essere chiusi, cento dei quali si erano già fermati durante il Covid e non sono mai più ripartiti”. Così il segretario nazionale di Slc Nicola Di Ceglie, anche lui evidenziando le grandi contraddizioni di un comportamento del tutto schizofrenico da parte di Poste. Da un lato, infatti, l’azienda lancia il progetto Polis – Case dei servizi di cittadinanza digitale, promosso dal governo e pubblicizzato a gran voce. Un progetto che rientra nel piano complementare al Pnrr con l’obiettivo di rilanciare i territori, favorire la coesione economica, sociale e territoriale del Paese e il superamento del digital divide nei piccoli centri e nelle aree interne.

LAVORATORI PRECARI E RICATTABILI

Dall’altro, l’azienda viaggia verso la paradossale chiusura di uffici collocati proprio nelle aree interne o in quelle periferiche delle grandi città. Senza tralasciare la questione dei precari che, come dichiarato da Ceglie anche in alcuni incontri con i dipendenti, devono essere stabilizzati. “Per non parlare del malessere diffuso – prosegue il sindacalista – che nasce da condizioni di lavoro spesso sotto il ricatto, a volte esplicito, della mancata riconferma, con la richiesta di una disponibilità che supera spesso i limiti imposti dalle leggi e dei contratti”.

presidio davanti a un ufficio postale a Torino

LA MOBILITAZIONE CONTINUA 

E qui, l’altra grande contraddizione di un’azienda che sposta dei lavoratori da una sede a un’altra con problemi di organico, senza però risolvere il problema alla radice: la mancanza di personale. “Troppo spesso l’esasperazione giustificata dei cittadini si è riversata su lavoratrici e lavoratori – commenta De Luca – che purtroppo non ce la fanno da soli a soddisfare la totalità dei bisogni degli utenti”. In Piemonte, come nel resto d’Italia, Poste Italiane sembra al momento andare dritta per la sua strada. “Ma noi non ci fermeremo – chiude Ravel – andremo avanti con i presidi e con la nostra mobilitazione, finché ce ne sarà bisogno”.