La “scusa” è la riduzione del debito. La realtà è la svendita delle grandi aziende pubbliche italiane alla finanza internazionale. Privatizzare è l’unico vero obiettivo del governo: totale libertà al mercato, a tutto detrimento di cittadini e lavoratori. Si inizia da Poste Italiane, un campione nazionale con 130 mila dipendenti, con l’esecutivo che si avvia a cedere una parte consistente di quote azionarie.
Un’operazione finalizzata solo a fare cassa, che non porterà a nulla di buono. E che comunque sarà una goccia nel mare. L’intervento sul debito, infatti, è quasi inesistente: i 20 miliardi di euro che il governo pensa di racimolare con le privatizzazioni rappresentano solo lo 0,71% dell’ammontare complessivo del debito pubblico, che è di oltre 2.800 miliardi.
Ma c’è di più: è un’operazione che neanche ci conviene. Per essere chiari: lo Stato vende la quota di Poste Italiane detenuta dal ministero delle Finanze, la investe per ridurre il debito pubblico e ottiene un risparmio annuo (sul debito) di 182 milioni. Ma lo Stato attualmente da Poste Italiane ci guadagna: nel 2023 i dividendi sulla quota di azioni sono stati pari a 248 milioni. Il conto è presto fatto: 248-182=66. Quindi, alla fine di quest’operazione, avremo perso ogni anno 66 milioni di euro.
Cgil: sportelli chiusi e tagli a personale e investimenti
Il governo giura che il controllo resterà nelle mani dello Stato. “Cedere una quota significativa delle azioni produrrà una situazione per cui i vertici aziendali dovranno soddisfare le attese degli azionisti privati in merito ai dividendi”, spiega il segretario confederale Cgil Pino Gesmundo: “Chi investe, infatti, lo farà attendendo un rendimento dell’investimento superiore a quello di altri settori”.
Il privato che comprerà le azioni di Poste Italiane lo farà per guadagnarci sopra, è evidente. “Il rischio più immediato che intravediamo – prosegue Gesmundo – è quello di veder chiudere gli sportelli sul territorio, e di spingere ulteriormente sull’automazione del servizio. Questo, va da sé, metterebbe in difficoltà la clientela, in larga parte composta di persone anziane”.
Il personale sarà via via ridotto, i cittadini vedranno sparire l’ufficio postale sotto casa, e tutte le aziende che lavorano per Poste Italiane vedranno ridimensionato il proprio volume d’affari. “Nel frattempo, gli azionisti staccheranno cedole di dividendi straordinarie”, conclude il segretario confederale Cgil: “Quest’anno la trimestrale ha fissato utili per oltre 500 milioni di euro. Così, per aumentare la ricchezza di pochi, si toglieranno risorse sul territorio e s’indebolirà il sistema del risparmio postale”.
Slc: privatizzare non ha alcun senso
“Il ministro dell’Economia Giorgetti dovrebbe dare un’occhiata alla trimestrale di Poste Italiane. Ne ricaverebbe che l’utile dichiarato per il solo primo trimestre di questo anno è di oltre 500 milioni di euro, di cui circa due terzi riconducibili alle azioni possedute dal pubblico, quindi con un controvalore di oltre 300 milioni di euro”. Così il segretario generale Slc Cgil Fabrizio Solari, commentando i dati diffusi dall’azienda.
“Mi domando se abbia ancora senso – prosegue l’esponente sindacale – pensare a una privatizzazione che, oltre ad alienare le quote possedute di un’azienda sana e in forte attivo, produrrebbe un beneficio annuo di circa 200 milioni, a fronte di un dividendo possibile di oltre un miliardo, come i dati ampiamente confermano”.
Un non-sense su cui insiste anche Nicola Di Ceglie, segretario nazionale Slc Cgil: “Ci chiediamo quale sia la ratio dell’operazione, dal momento che lo stesso ministro Giorgetti ha chiarito l’impatto negativo che avrebbe sui conti dello Stato, ammettendo che i dividendi garantiti annualmente da Poste sono superiori ai risparmi che deriverebbero dalla cessione dell’azienda”.
Insomma, davvero non si scorge “il senso di questa vendita – conclude Di Ceglie – se non il goffo tentativo di giustificare l’ingiustificabile, ossia elargire lauti profitti ai pochi soggetti privati che la acquisiranno, privando lo Stato di un’azienda che macina utili consistenti e che svolge, al contempo, un ruolo nevralgico nella tenuta sociale e nella coesione territoriale del Paese”.