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Nel piazzale della fabbrica di piombo e zinco, la Portovesme di Portoscuso, dentro l’area industriale del Sulcis Iglesiente, lavoratori e sindacato sanciscono una breve, anzi brevissima tregua nella mobilitazione per salvare millecinquecento buste paga. La Regione ha promesso di far sentire a Roma la voce degli operai. Non ci crede quasi nessuno. L’intero territorio è sull’orlo di una mobilitazione generale. Per capire l’innesco, bisogna fare un passo indietro. La bolletta dell’energia è alle stelle da ottobre, la guerra in Ucraina c’entra poco, qui il problema esiste da prima e negli ultimi mesi è solo peggiorato. La Glencore, multinazionale svizzera proprietaria dello stabilimento, ha promesso che se continua così manda all’aria tutta la produzione. Game over.
La Sardegna, come la Sicilia, non usufruisce degli sconti garantiti dall’interconnessione elettrica. Il costo medio degli ultimi cinque anni, 50 euro al megawattora, a fine 2021 è salito a 310 euro, a febbraio è schizzato a 700. Per evitare il crash si è tentato invano di riproporre, sotto forma di emendamento al decreto Sostegni, la superinterrompibilità: un regime che taglia di netto il costo dell’energia ma per l’Unione Europea è un fattore di concorrenza sleale, e infatti, non ha passato il vaglio della Commissione parlamentare. Ora l’attesa è per l’iter di un altro emendamento - questa volta al decreto su energia elettrica, gas naturale e fonti rinnovabili - che mira ad abbattere il divario dei costi definendo un prezzo fisso calmierato per le aziende isolane con un meccanismo diverso, l’energy release. Ma c’è un altro spiraglio all’orizzonte: l’Unione Europea potrebbe decidere di allargare le maglie degli aiuti di Stato e concedere, solo per quest’anno, il taglio dell’80 per cento sul sovrapprezzo medio registrato nel 2021.
(Le voci dei lavoratori raccolte da Daniela Pistis. Montaggio a cura di Ivana Marrone)
“Per incassare risultati importanti su temi così complessi e far sentire la voce della Sardegna a Roma, ci vorrebbe la massima condivisione e un ruolo forte della Regione, che invece è rimasta assente per mesi”, ha detto il segretario territoriale Filctem Cgil Emanuele Madeddu. Soltanto il 3 aprile, il giorno prima dell’assemblea, il presidente della Regione Christian Solinas ha incontrato i sindacati e promesso che avrebbe portato a Roma le rivendicazioni del Sulcis Iglesiente. È stato il primo risultato della mobilitazione che il 29 marzo aveva portato i lavoratori a Villa Devoto, sede cagliaritana della presidenza della Giunta: il presidente non si fece trovare ma fissò una riunione cinque giorni dopo.
Ora l’assemblea ha deciso di concedere qualche altro giorno prima di intensificare le iniziative di protesta: verificare se e come Solinas terrà fede all’impegno è l’ultima spiaggia. “Non c’è più tempo, quanto dobbiamo aspettare?”, dice Daniele Bachis, 34 anni, in fabbrica da due e mezzo e il piglio rivoluzionario di quelli che la protesta paga sempre. La diffidenza è giustificata, a ricordalo è il segretario regionale della Cgil, Samuele Piddiu: “Il presidente della Regione, che non ha mai speso una parola sulle bozze del decreto Sardegna firmato da Draghi dopo lunga attesa, ora minaccia di impugnarlo, rischiando di vanificare l’avvio della metanizzazione indispensabile a rilanciare i settori produttivi in tutta l’Isola”. Quello di Solinas è fuoco amico contro gli stessi operai con i quali si dice pronto a marciare fianco a fianco, per difendere posti di lavoro e speranze.
Da ottobre scorso i sindacati, unitariamente, chiedevano un incontro al presidente della Giunta. E mentre lui ignorava le sollecitazioni continue dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali, il cuore della Portovesme ha iniziato a pulsare sempre più lentamente. Da dicembre la produzione di zinco è ai minimi storici. Le celle elettrolitiche, quelle più energivore, marciano a consumi ridotti. 450 dei 640 lavoratori diretti sono in cassa integrazione. Gli appalti soffrono, come sempre, più di tutti: lavora lì da 28 anni Massimiliano Lobina, una vita da metalmeccanico Fiom e ora lo spettro di “una crisi drammatica che sta colpendo tutte le aziende e va risolta in fretta perché con la cassa integrazione non riusciamo ad andare avanti”. E poi ci sono gli interinali, assunti a tempo dalla casa madre, 34 su 60 fuori dalla produzione. È successo a Christian Saiu, che ha passato 15 dei suoi 47 anni negli appalti prima di accettare quella che sembrava un’occasione: “Mi hanno proposto un contratto interinale da interno, mi sono detto, cosa fai, non ci salti dentro?”. Storicamente, la Portovesme li stabilizza ma quando è arrivato il turno di Christian il suo reparto ha ridotto l’attività e lui è rimasto con un pugno di mosche, una cassa integrazione, da interinale. La rsu Cgil Fabrizio Floris fa da parafulmine a una serie infinita di istanze ma non cede allo sconforto, e a 57 anni, pensando alla pensione, “ci voglio arrivare lavorando – dice - mica in cassa integrazione”.
Le produzioni di Portoscuso, definite strategiche dal ministero dello Sviluppo, hanno mercato e prospettive. La Portovesme è l’unica fabbrica di piombo e zinco d’Italia, vende in tutto il mondo. Sono metalli che troviamo in processi produttivi e oggetti di uso quotidiano. C’è zinco dentro gli schermi delle nostre tv, nei nostri cellulari, nelle batterie delle auto come in quelle, più sofisticate, che servono per accumulare l’energia rinnovabile quando il vento non tira e il sole tramonta. C’è piombo nelle schermature degli apparecchi per le radiografie, nelle tubazioni e nel rivestimento dei cavi elettrici, in edilizia e nella produzione di vernici, smalti e adesivi. Si tratta di un’attività produttiva indispensabile, se fermata provocherebbe un pericoloso domino.
E a proposito di effetto domino, a rilanciare la mobilitazione generale nel piazzale della Portovesme c’è Franco Bardi, un lungo passato in Fiom e oggi segretario della Camera del Lavoro della Sardegna Sud Occidentale: “Questa vertenza si inserisce nella più ampia crisi che rischia di travolgere il tessuto economico e sociale di tutto il territorio, l’energia è il tema chiave per uscire dall’impasse e noi faremo tutto il possibile per portare a casa il risultato”. A Cagliari, come a Roma, i caschetti degli operai del Sulcis torneranno presto a rivendicare un nuovo corso.