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Si avvia a conclusione positiva la vertenza dei 207 dipendenti della Cagliari international container terminal (Cict), società del gruppo Contship e principale terminalista del traffico merci del porto industriale del capoluogo sardo. È stato infatti raggiunto un accordo per la cassa integrazione, che quindi toglie di mezzo definitivamente lo spettro degli esuberi, che erano stati annunciati all'inizio di giugno e ratificati dall'assemblea dei soci. Per oggi (martedì 3 settembre) è prevista la firma definitiva a Roma, alle ore 13 al ministero del Lavoro, con Regione Sardegna, Autorità portuale e sindacati, che segue appunto l’intesa sottoscritta giovedì 29 agosto per la cig per cessazione della durata di 12 mesi.
All'inizio della vertenza le posizioni erano molto lontane, ma la tenacia di sindacati e lavoratori, oltre che alla mediazione dell’ente regionale, ha portato all'approvazione di un percorso che consente, nell'anno appunto coperto dagli ammortizzatori sociali, di progettare il rilancio del porto canale. La situazione si è sbloccata solo qualche giorno fa, quando la Cict si è detta disponibile ad attivare la procedura per cessata attività, secondo il cosiddetto “decreto Genova”, proposta dal ministero dello Sviluppo economico nell'incontro del 31 luglio scorso. Due le condizioni: il preventivo accordo coi sindacati e che il 9 per cento a carico dell'azienda, se dovuto, si possa trasformare in un programma regionale di politiche attive.
"La firma dell'accordo è soltanto il primo passo. Siamo soddisfatti, ma abbiamo intenzione comunque di continuare la grande battaglia per riportare il transhipment a Cagliari", commenta Massimiliana Tocco, segretaria generale della Filt Cgil di Cagliari: “La crisi è iniziata per le modifiche che sono intervenute nel mercato mondiale dello shipping, che hanno determinato la scelta di porti all'interno del Mediterraneo che potessero essere polivalenti, cioè in grado di poter servire più operazioni portuali”. Alla base della decisione di Cict ci sarebbero non solo il calo del 90 per cento sul traffico registrato negli ultimi tre anni, ma anche le perdite economiche del bilancio 2018, che ammontano a oltre 3,3 milioni di euro. Il “rosso” ha inciso, secondo quanto spiega la società, in modo negativo anche sulla situazione patrimoniale, che ora si attesta a poco meno di 670 mila euro.
La vertenza della Cict si inserisce, infatti, in una situazione di forte concorrenza tra i porti del Mediterraneo, per quanto riguarda il transhipment. L'azienda fa parte di un gruppo multinazionale di rilievo che sta spostando i traffici del porto di Cagliari verso il Nord Africa, soprattutto verso Tangeri, dove il costo del lavoro è decisamente inferiore, mentre burocrazia e fisco creano una situazione di concorrenza sleale all'interno dello stesso gruppo. Riguardo ai 210 dipendenti, va sottolineato che sono quasi tutti operai specializzati e gruisti di banchina, con età compresa tra 35 e 55 anni.
Cgil, Cisl e Uil territoriali, assieme alle rispettive categorie dei trasporti, sollecitano l’avvio immediato del tavolo politico “nel quale affrontare e superare le criticità legate alla pluralità di fattori che ingessano le potenzialità del porto di Cagliari e lo rendono scarsamente concorrenziale rispetto agli altri scali del Mediterraneo”. Per i sindacati le priorità da affrontare sono le difficoltà e lungaggini burocratiche, l’obsolescenza infrastrutturale e i vincoli paesaggistici che precludono persino l'avvio della Zona economica speciale e della Zona franca doganale interclusa. Cgil, Cisl e Uil, in conclusione, rammentano che “rinviare ulteriormente il tavolo politico e, conseguentemente, le azioni da intraprendere con urgenza significherebbe vanificare ogni opportunità di rilancio proprio nel momento in cui si sta ridisegnando la mappa della portualità a livello globale”.