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L’occupazione sale, il dato è incontrovertibile. E la disoccupazione scende. Anche questo non si può contestare. Le cifre le fornisce l’Istat. Quello che però le statistiche non dicono è quale occupazione cresce. Quella della popolazione in età 50-64 anni è aumentata di 370 mila unità, mentre quella giovanile, della fascia 25-34 anni, è diminuita di 57 mila. Il saldo generale tra aumenti e diminuzioni è 328 mila occupati in più, da novembre 2023 a novembre 2024.
Vecchia tendenza
“La tendenza è in atto da molto tempo, tant’è che il tasso di occupazione dei giovani fino a i 34 anni non è riuscito a tornare ai livelli del 2008 - spiega Linda Laura Sabbadini, già direttrice dell'Istat e pioniera negli studi di genere -. Mentre il tasso degli ultra cinquantenni è cresciuto di 20 punti percentuali dal 2008. È l’unico segmento di popolazione che in tutti questi anni è aumentato nei tassi, compreso il periodo della pandemia e comprese le crisi del 2013 e del 2008”.
Tre fattori
Ma a che cosa è dovuto questo fenomeno? “Sono tre i fattori fondamentali - prosegue Sabbadini -: primo, l'invecchiamento della popolazione che porta anche a un invecchiamento dei lavoratori. Secondo: l’elevamento dell’età pensionabile, che ha fatto sì che persone con un’età avanzata rimanessero al lavoro più a lungo, anziché transitare più velocemente verso la pensione. Si tratta di una fascia che incide molto, dato che è quella del baby boom”.
Poi c’è l’effetto generazione: arriva ai 50-60 anni una popolazione che aveva già tassi di occupazione da giovani più alti di quelli delle generazioni precedenti, specie le donne.
La Grecia meglio di noi
L’espansione dell’occupazione c’è, ma non riesce a includere adeguatamente né la popolazione giovanile né quella femminile. “Inoltre, se confrontiamo i dati con il resto dell’Europa, ci accorgiamo che ci troviamo in fondo alle classifiche - riprende la studiosa -. Questo problema dell’occupazione giovanile riguarda più noi degli altri Paesi. Nella fascia 25-29 anni nel terzo trimestre 2024 è emerso che persino la Grecia, che prima ci stava dietro, ha un tasso superiore al nostro, sei punti avanti a noi. Ma siamo all’ultimo posto in Europa anche per l’occupazione generale e l’occupazione femminile”.
I numeri
Basta dare un’occhiata ai numeri. Nel 2008 il tasso di occupazione giovanile era al 70,1 per cento. Dopo il crollo finanziario, la discesa: nel 2010 è passato al 65,5. Nel 2013, altra crisi: 59,9 per cento. Gli anni successivi, piccola risalita, 61 per cento nel 2017, 62 nel 2019. Poi è arrivata la pandemia e il tasso dei 25-34enni è sceso al 58,3 per cento. Nel 2021 recupera tre punti e torna al 61 per cento. Nel 2022 ad aprile è al 65,5, nel 2023 cresce ma non tanto, 67,2 sempre ad aprile. Nel 2024 a novembre siamo al 68,2 ma a dicembre dell’anno precedente eravamo al 69,3. Quindi c’è stata una diminuzione.
Più precari, più licenziabili
“Anche se abbiamo registrato dei su e giù, i giovani sono quelli che hanno subito di più gli effetti delle crisi che abbiamo vissuto - dice ancora Sabbadini -. Hanno perso il lavoro, sono stati licenziati anche perché avevano una maggiore incidenza di vulnerabilità: precarietà e part-time soprattutto tra le donne. E il loro tasso di occupazione non è mai tornato a quello di prima della crisi del 2008: 68,2 per cento oggi, 70,1 per cento 16 anni fa. Nel frattempo i 50-64enni hanno avuto un incremento di 20 punti: 46,9 contro 65,7 di adesso”.
Tempi indeterminati
Un dato positivo, anche questo da leggere con obiettività, riguarda la tipologia dei contratti che aumentano: crescono i tempi indeterminati e non quelli a termine, elemento che va di pari passo con la crescita dell’occupazione dei 50-64enni, che è più stabile.
Strategie e politiche
“Il problema è che giovani, donne e Sud hanno maggiori criticità nell'accesso al lavoro, con bassi tassi di occupazione ma al tempo stesso maggiori criticità quando il lavoro ce l'hanno - conclude Sabbadini -, e cioè salari ridotti o poche ore di lavoro. Mi riferisco in particolare a quell’ampia fetta di part-time, spesso involontario, che rappresenta più del 50 per cento del tempo parziale femminile. Un part-time che non è usato per conciliare i tempi di vita e di lavoro delle donne ma più che altro come strumento di flessibilità per le imprese. Ci vorrebbe una strategia, costruire politiche efficaci per cambiare questa situazione, anche perché il confronto con l’Europa ci dice che siamo davvero molto indietro e tanti Paesi che erano dietro a noi, i loro balzi in avanti li hanno fatti”.