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Crisi economica, pandemia, politiche protezionistiche. Queste le cause principali della situazione di ristagno che vive da tempo il settore del lapideo italiano. Le grandi difficoltà del settore dell’edilizia hanno rallentato la richiesta di marmi e pietre, l’emergenza sanitaria ha provocato uno stop dello scambio delle merci nel 2020, le barriere doganali del governo Trump hanno contribuito a diminuire l’export soprattutto del prodotto lavorato.
“Anche se a livello mondiale il comparto sta registrando una lenta ripresa – sostiene Tatiana Fazi, segretaria nazionale Fillea Cgil -, le strategie industriali italiane dovrebbero sviluppare oltre alla vendita del prodotto grezzo, più appetibile e di ritorno economico immediato, anche le importanti potenzialità del manufatto che può aumentare il valore della materia prima di molte volte. Per valorizzare il settore marmo e pietre, però, è necessario attivare politiche di adeguamento e sviluppo delle infrastrutture, degli impianti e di sostenibilità ambientale”. Come? Attraverso investimenti e incentivi per le aziende e una visione di insieme che sappia riportare sul territorio in termini di lavoro e ricchezza il profitto derivato dall’escavazione. Prendiamo i materiali di scarto: vanno recuperati e utilizzati al meglio, dando così impulso all’economia circolare che, con l’aiuto delle nuove tecnologie, può fare da traino per il rilancio del settore.
La concessione e lo sfruttamento delle cave pone da sempre la questione della responsabilità di questa industria che usa un bene comune, il paesaggio. E che proprio per questo deve riconsegnare al territorio dove sono i giacimenti e alla comunità occasioni di crescita e di sviluppo. “E invece gli imprenditori sono per lo più rivolti all’escavazione e alla vendita del grezzo – afferma Fazi -, privando così in molti casi il territorio della possibilità di creare più posti di lavoro, indotto, tutela e qualità dell’ambiente”.
La situazione è complicata dalla mancanza di una legge nazionale che dia alle amministrazioni locali indicazioni univoche su tempi, prezzi, modalità delle concessioni per l’escavazione, obblighi sulla tracciabilità del materiale, sulla riconversione delle cave dismesse, sull’uso dei cascami e sulle percentuali di materiale grezzo da lavorare in loco. Così le Regioni, a cui spetta di deliberare su questo tema, hanno approvato discipline autonomamente e lo hanno fatto in modo disorganico. Ma in molti casi anche la normativa regionale è vecchia e obsoleta e non risponde a tutti i temi cruciali.
Poi c’è la questione della sicurezza: incidenti e morti sono ancora un’enorme piaga per il comparto perché questo è un settore ad alto rischio per la salute sul lavoro. Nell’ultimo anno molte aziende hanno fatto ricorso alla cassa integrazione Covid durante il fermo delle produzioni e una volta attivati i protocolli di sicurezza sono ripartite nonostante il blocco dell’export abbia fortemente rallentato l’attività. In tutti e otto i distretti italiani, però, nelle imprese più grandi e sindacalizzate la verifica dell’applicazione puntuale dei protocolli sta funzionando. Ma in quelle piccole e dove il sindacato fatica ad avere iscritti o rappresentati si registra un allentamento della tenuta dei livelli di attenzione al rischio contagio. Difficile pensare che dove non vengono garantite le condizioni minime di igiene sia efficace e puntuale l’applicazione delle regole per la prevenzione del Coronavirus.
“Per questo, come dipartimento della Fillea che si occupa dei materiali da costruzione, vogliamo accendere l’attenzione su questi temi – conclude Tatiana Fazi, Fillea -. Costruire al più presto una piattaforma per una legge quadro e per sostenere un settore trainante per far ripartire l’economia italiana. Questo comparto può crescere proprio attraverso le assi di sviluppo e di competitività individuate a livello europeo e mondiale: innovazione, compatibilità ambientale, economia circolare, alto valore aggiunto del prodotto italiano, riconnessione con il territorio. È urgente, quindi, aprire un confronto con il governo e con le parti sociali e dare il prima possibile uniformità e coerenza alle leggi regionali”.