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Il prossimo appuntamento fra azienda e sindacati è fissato per domani, giovedì 3 dicembre, a Treviso, mentre nella giornata odierna i lavoratori di Permasteelisa, uno dei gioielli dell’industria locale, colosso delle ristrutturazioni architettoniche (presente con diversi impianti anche in Germania, Olanda e Stati Uniti), scioperano per quattro ore alla fine di ogni turno per dire no agli esuberi previsti per lo stabilimento di Vittorio Veneto nella definizione del nuovo piano industriale. La decisione era stata presa dalle organizzazioni sindacali territoriali di Fiom Cgil e Fim Cisl, unitamente alle Rsu aziendali, dopo le assemblee dei lavoratori programmate per il 23 novembre. Sempre per oggi, dalle 11 alle 13, si tiene un presidio di fronte ai cancelli dell’azienda.
I dipendenti avevano già mandato un segnale indicativo il 23 ottobre scorso, quando avevano incrociato le braccia per due ore in segno di protesta per la mancanza di chiarezza sul loro futuro e a sostegno del rinnovo del ccnl di settore. Poi l’incontro chiarificatore del 18 novembre, durante il quale è comparsa all’improvviso la mannaia degli esuberi: 150 ne ha individuati il management, dei quali 131 tra le fila degli impiegati e 19 fra gli operai (su un totale di 700 addetti, suddivisi in 500 colletti bianchi e 200 tute blu). Dunque, provengono quasi tutte dagli uffici le ‘vittime sacrificali’ della ristrutturazione, che proprio in questi mesi, con l’insorgere della pandemia e del lockdown, erano state costrette alla cassa integrazione per Covid-19 o allo smart working.
“Si tratta di oltre il 20% dell’organico - sostiene Enrico Botter, segretario generale Fiom Treviso -, non si tratta certo di numeri di poco conto, che incidono sul settore manifatturiero della provincia. È una decisione che temevamo - dopo aver visto, nei mesi scorsi, che era saltata qualche testa anche fra i manager -, e che volevamo in ogni caso scongiurare”.
Il nuovo piano industriale, presentato dai vertici aziendali, punta a recuperare la redditività persa dal sito trevigiano negli ultimi anni attraverso un cambiamento che porti lo stabilimento nuovamente a focalizzare il business, concentrandosi sul rivestimento dei grandi edifici - da sempre la ‘mission’ principale del gruppo –, lasciando andare altre attività.
“In pratica, si intende voltare pagina – prosegue il dirigente sindacale -, cambiando la strategia commerciale e produttiva dell’ultimo periodo, guardando a una più accurata selezione dei mercati di riferimento, come Usa, Gran Bretagna e Francia, e al progressivo abbandono di quelli più rischiosi. Ma la programmata riorganizzazione avviene sulle pelle dei lavoratori, tagliando il personale, una scelta per noi inaccettabile”.
Che le cose non andassero bene in tempi recenti, era cosa nota anche alle organizzazioni dei lavoratori. Gli ultimi cinque anni si erano sempre chiusi in sofferenza con i bilanci in rosso, ma nessuno immaginava una decisione del genere, oltretutto ad appena due mesi dall’acquisizione del nuovo padrone, Atlas holding (un fondo industriale americano), subentrato il 30 settembre alla travagliata gestione dei giapponesi della Lixil.
Nell’anno fiscale chiuso nel marzo scorso, il gruppo aveva realizzato ricavi per 1,18 miliardi, con perdite per 86 milioni, mentre il 2018 il ‘rosso’ era di 417 milioni, rispetto a un fatturato di 1,3 miliardi. Momenti non facili, ma legati a filo doppio alla crisi dell’industria delle costruzioni, che ha subìto rallentamenti causati dalla situazione di incertezza globale, su cui pesano sia fattori economici e geopolitici sia fattori più recenti, legati all’attuale emergenza sanitaria.
Ora si profila un lungo braccio di ferro fra azienda e sindacati. “Ma senza un confronto che tracci percorsi industriali e di tutela per i lavoratori non ci potrà essere alcuna forma di mediazione”, avvertono seccamente i sindacati dei metalmeccanici trevigiani.
“Innanzitutto, pretendiamo la cigs Covid-19 fino a tutto marzo, com’è stato stabilito dal governo, assieme al blocco dei licenziamenti. Poi, utilizziamo tutto questo tempo per esaminare attentamente la situazione, per sapere quali sono le cifre reali del deficit e quanto dobbiamo effettivamente gestire. In modo che, da aprile 2021 in poi, possiamo stilare un progetto e avviare una discussione con i vertici aziendali”, afferma Botter.
Ovviamente, l’obiettivo di Fiom e Fim locali è quello di ridurre al minimo l’impatto sociale dell’annunciata ristrutturazione, magari facendo ricorso a tutte le forme esistenti di ammortizzatori, come i contratti di solidarietà.
“Sappiamo che non sarà un’impresa facile, considerando che abbiamo a che fare con quasi tutti impiegati che non hanno una grande esperienza sindacale alle spalle - anche se di recente, nelle ultime assemblee, la partecipazione è lievitata da una ventina a più di un centinaio di presenze, indice reale della loro preoccupazione - ma confidiamo di riuscire a far rientrare più eccedenze di personale possibili, assicurando ogni forma di tutela ai lavoratori coinvolti”, conclude il sindacalista.