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Il contagio da coronavirus è equiparato ad infortunio sul lavoro, ma ottenere la tutela Inail non sarà per tutti la stessa cosa. E’ quanto denuncia Silvino Candeloro, del collegio di Presidenza Inca, commentando la tanto attesa circolare dell’Inail, n. 13 del 3 aprile, pubblicata dopo numerose sollecitazioni da parte del sindacato e del Patronato della Cgil, pur considerandola “un primo atto applicativo” delle disposizioni contenute nel decreto legge “Cura Italia”, n. 18 del 17 marzo scorso, “assolutamente necessario”, “una prima certezza per la tutela individuale di lavoratori e lavoratrici coinvolti, loro malgrado, nella pandemia da Covid-19”.
Secondo l’Inca, restano da chiarire molti aspetti, a cominciare dalla classifica delle categorie per le quali l’istituto prevede la presunzione semplice dell’origine professionale dell’infezione e il riconoscimento delle prestazioni economiche, previste dalla normativa antinfortunistica. “Nell’attuale situazione pandemica – scrive l’Inail -, l’ambito della tutela riguarda innanzi tutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico”, per i quali “vige la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus”. Vale a dire, si dà per scontato il nesso causale tra l’infezione da Covid e il lavoro svolto, sollevando il lavoratore dall’onere della prova.
La presunzione semplice di origine professionale viene riconosciuta anche ad altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/utenza, come quelli che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, eccetera.
Pur non considerando la lista “non esaustiva”, l’Inail precisa che per quei casi, “anch’essi meritevoli di tutela, nei quali manca l’indicazione o la prova di specifici episodi contagianti o comunque di indizi gravi ‘precisi e concordanti’”, che rendono problematica l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio, l’accertamento medico-legale seguirà l’ordinaria procedura privilegiando essenzialmente i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale”.
In questi casi, la circolare dell’Inail specifica che spetta al medico, al quale è arrivata la segnalazione del contagio da Covid-19, certificare, oltre la data dell’evento, la data di astensione dal lavoro per inabilità assoluta, per quarantena o permanenza domiciliare fiduciaria del lavoratore, conseguente al contagio da virus, anche le cause e circostanze, la natura della lesione e il rapporto con le cause denunciate.
“Una prova quasi impossibile – commenta Candeloro – che rischia di escludere dalla tutela Inail molti lavoratori che nell’esercizio delle loro funzioni hanno contratto il virus”.
“Sarebbe stato più idoneo – aggiunge Candeloro – incoraggiare il lavoratore a segnalare al medico l’evento infortunistico e rendere più agevole al medico la compilazione del certificato d’infortunio, delegando all’Inail l’onere di provare che il contagio non sia avvenuto in occasione di lavoro”.
Sottoposti a questa procedura così complicata rischiano di finire, per esempio, spiega il Patronato della Cgil, il personale delle case di riposo, nonostante il forte contagio rilevato quotidianamente dalla protezione civile, e i taxisti, le cui condizioni di lavoro impediscono di mantenere la distanza minima di sicurezza (tra guidatore e passeggero), escluse dalla presunzione semplice di origine lavorativa dell’infezione da Covid-19.
Per l’Inca altrettanto critico rischia di essere il trattamento di tutti quei casi “di dubbia competenza Inail/Inps, indicati dall’Istituto assicuratore nella stessa circolare. Alcuni territori – riferisce Candeloro - ci segnalano situazioni che stanno complicando il trattamento di alcune pratiche: per formalizzare la denuncia di infortunio, l’Inail fa richiesta di un certificato medico ad hoc, oltre a quello di malattia da Covid-19, redatto dal medico di base e inviato all’Inps”.
“Non ci è dato comprendere il senso e i motivi di tale richiesta”, commenta il Patronato della Cgil. “Infatti, in questi casi, anche in base all’ultima circolare Inail del 3 aprile 2020, la questione dovrebbe essere affrontata e risolta semplicemente applicando quanto contenuto nella convenzione Inps/Inail, che è proprio finalizzata a semplificare gli adempimenti per il riconoscimento delle prestazioni economiche, posta dalla legge a carico dei due Istituti e alla velocizzazione dell’iter di definizione di tali casi. Per questo chiediamo all’Inail di chiarire la questione con le proprie sedi territoriali e di essere coerente con quanto contenuto nella circolare”.
“In un momento così difficile per tutti i lavoratori – conclude Candeloro – sarebbe auspicabile che si rendessero straordinariamente semplici le denunce di infortunio, come richiederebbe la situazione emergenziale nella quale viviamo. Sarebbe un segnale di forte di vicinanza ai tanti lavoratori che nonostante le restrizioni continuano a garantire servizi essenziali a tutti i cittadini”.