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Il detto “Paese che vai, usanza che trovi” per i rider non vale. I ciclofattorini e gli altri lavoratori delle piattaforme si trovano nelle stesse identiche condizioni sia che si trovino a Bruxelles o a Palermo, a Sofia o a Zagabria, a Vienna o a Stoccolma. Per questo la Ces, la Confederazione europea dei sindacati, promuove il progetto Platform Reps che ha l’obiettivo di valutare e studiare la legislazione, le presenze, le vertenze avviate negli Stati dell’Unione, alla ricerca di azioni comuni e in connessione con la rete globale Fair Work.
“Un progetto importante perché mette a disposizione dei sindacati nazionali le esperienze maturate nei diversi Paesi – spiega Nicola Marongiu, coordinatore dell’area contrattazione Cgil -: quelle di carattere vertenziale, che poi è una delle condotte principali di azione delle organizzazioni, quelle legislative, in primis la norma spagnola che ha modificato lo Statuto sancendo la subordinazione per i lavoratori su piattaforma, e quelle contrattuali. Per esempio, in Italia con Just Eat siamo riusciti a fare un accordo di tipo aziendale per applicare ai rider il contratto collettivo nazionale merce e logistica”.
Mettere in rete per trovare azioni comuni, appunto, perché le piattaforme che operano sono le stesse e uguali le modalità di funzionamento e di sfruttamento del lavoratore. I problemi che si hanno in Francia e in Germania, in Grecia e in Olanda sono dunque gli stessi che si registrano in Italia. In Europa operano Glovo, Just Eat, Deliveroo, Uber (più altre società locali) con identici modelli organizzativi, che incontrano paletti e limitazioni dettati dalla legislazione nazionale e dalle sentenze dei giudici.
“Generalmente nei Paesi europei in quasi nessun caso sono stati raggiunti accordi di carattere collettivo per regolare le condizioni di lavoro – riprende Marongiu -. Per questo occorre una direttiva stringente come quella in discussione perché sancisce l’obbligo di recepimento da parte di tutti e determinerebbe una situazione comune negli Stati. Non solo per i rider, ma per tutti i lavoratori che operano su piattaforma: quelli che forniscono servizi alla persona, assistenza familiare, controllo dei dati, produzione contenuti, allenamento dell’intelligenza artificiale”.
I tempi della proposta di direttiva presentata dalla Commissione europea, però, non sono propriamente immediati. Nel Parlamento è stato raggiunto un compromesso tra i gruppi politici, sostenuto anche dalla Cgil perché dà una risposta a problemi stringenti come la presunzione relativa di subordinazione e la definizione della piattaforma come datore di lavoro. Adesso c’è la discussione in Consiglio.
“Qui il passaggio è un po’ più complicato – spiega Marongiu -, perché è stata avanzata una proposta peggiorativa. Per fortuna esiste ancora una cosiddetta minoranza di blocco che l’ha bocciata. Ma bisogna vedere come finisce il processo di negoziazione. E poi occorre mettere insieme il testo definitivo”. Un percorso lungo che potrebbe portarci almeno alla fine del 2023.
“Tenendo conto che ciascun Paese ha due anni per recepire la direttiva dopo il varo, i tempi si allungano – conclude il sindacalista -. Ma se venisse approvata nella formulazione decisa dal Parlamento, sarebbe già un passo in avanti. Definire le piattaforme come datori di lavoro determinerebbe delle responsabilità precise, oltre alla presunzione relativa di subordinazione che permetterebbe di dividere il campo tra lavoratori subordinati e autonomi”.