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Nelle ultime settimane molti esperti e commentatori hanno affermato che il livello di precarietà e di part-time, in Italia, non desta nessun allarme ed è nella media dei principali Paesi europei. È proprio così? Abbiamo verificato, sulla base dei dati Istat ed Eurostat, l’evoluzione di queste forme di lavoro dal 2008 al 2022.
Nel 2008 gli occupati dipendenti erano 17 milioni 174mila; nel 2022 (14 anni dopo) 18 milioni 123mila: circa 950mila in più. Da cosa è formato questo incremento di occupazione? Da un aumento di circa 200.000 occupati a tempo indeterminato e da oltre 750.000 tempi determinati in più. L’aumento dell’occupazione in Italia è stato dunque determinato per oltre il 75% da un incremento del lavoro precario.
Sempre secondo l'Istat, gli occupati a tempo determinato erano 2.289 nel 2008 e 3.045 nel 2022. Quelli a tempo indeterminato erano 14.886 nel 2008, per poi passare a 15.079 nel 2022. Il totale degli occupati passa da 17.174 ai 18.123 dell'anno scorso.
Si continua però a sostenere che l’Italia abbia la stessa percentuale di occupati a tempo determinato sul totale degli occupati dipendenti di altri Paesi europei a noi paragonabili Non è proprio così.
La nostra percentuale è del 16,9%, ben 4,5 punti percentuali in più della Germania e 0,8 punti percentuali in più rispetto alla Francia. Solo in Spagna la percentuale è ancora più alta (21,2%) ma a differenza dell’Italia il trend è discendente e sulla base delle nuove norme di legge approvate in quel Paese (opposte a quelle appena approvate nel decreto lavoro in Italia) nel 2023 sarà probabilmente analoga.
Ragionando sempre in cifre, seguendo i dati diffusi da Eurostat, in Germania il tasso era del 14,8% nel 2008 per poi scendere al 12,4% nel 2022. In Francia si passa dal 15,0% al 16,1%. In Italia la percentuale è del 13,3% nel 2008 e sale al 16,9% nel 2022. Infine, in Spagna passiamo dal 29,2% al 21,2%.
L’utilizzo del part-time nel lavoro dipendente in Italia è percentualmente simile a quello di Francia e Spagna e inferiore a quello della Germania. Ma la nostra particolarità è che il part-time involontario italiano è molto più alto di quello degli altri Paesi (più del doppio di quello francese e quasi dieci volte quello tedesco), superiore anche a quello spagnolo di ben 7 punti percentuali.
D’altronde, un livello di salari così diverso nei paesi presi a riferimento, influisce in modo decisivo sui criteri dell'involontarietà. Un conto è un part-time al 50% che dà una media salariale superiore ai 20.000 euro lordi come in Germania, un conto è una media inferiore ai 15.000 euro lordi come in Italia con molte persone collocate vicino ai 10.000 euro lordi. Nel primo caso si tratta di lavoro dignitoso, nel secondo, troppo spesso di lavoro povero.
Seguendo sempre le cifre Eurostat, il tasso di occupati con part-time involontario sul totale dei part-time in Germania era del 23,0% nel 2008 per poi scendere al 6,1% nel 2022; in Francia si passa dal 34,9% al 25,9%; in Italia dal 41,3% al 57,9%, dunque in controtendenza; in Spagna dal 36,0% al 50,8%.
Infine, tornando all’Italia, si osserva che nel 2022 i collaboratori occupati erano circa 257mila, in buona parte da considerare nel bacino del lavoro precario. Il fenomeno è in crescita mentre il lavoro autonomo complessivamente in Italia sta calando. È ovviamente legittima ogni opinione sull’andamento dell’occupazione italiana, ma la realtà dei dati (dalla quale non si dovrebbe mai prescindere) è sempre più forte della propaganda.