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Omar, due figli e un lavoro da rider con Just Eat e Glovo a Torino. Otto, nove, a volte dieci ore al giorno in bicicletta per tirare su qualche soldo. “Anche di sabato e domenica devi assicurare almeno sei consegne dalle 19 alle 22, sennò perdi il punteggio e non lavori più – dice -. Il contratto che ci impongono di firmare? Non è un vero contratto, è una truffa perché conferma il cottimo, chiede di essere velocissimi altrimenti non guadagni niente, toglie le piccole agevolazioni che abbiamo. Io preferisco rimanere come adesso”.
Peccato che per Omar e per gli altri questo non sia possibile. Perché se non firmerà entro il 2 novembre, dal giorno successivo non potrà più consegnare: il suo contratto non sarà più “conforme alla legge”. L’opinione di Omar è condivisa tra i ciclofattorini del food delivery da Napoli a Milano, da Roma a Firenze. Si stanno vedendo recapitare la lettera-ricatto con cui la multinazionale aderente ad Assodelivery, che ha siglato l’accordo pirata con l’Ugl, dice nella sostanza “o mangi questa minestra o verrai licenziato”. E sono preoccupati. L’elenco delle cose che non vanno è lungo e forse anche difficile da spiegare.
Ma loro, i rider, simbolo dello sfruttamento, equiparati agli schiavi della moderna gig economy, non sanno che cosa fare: firmare e quindi sottostare a queste condizioni se possibile peggiorative? Oppure non cedere ed essere così esclusi da tutte le piattaforme della consegna a domicilio? L’alternativa la sta creando il sindacato. La Cgil, insieme alle categorie Nidil, Filt e Filcams, ha messo in campo una mobilitazione in tutte le città. “Andiamo per le strade per informare i lavoratori, raccogliere istanze e preoccupazioni – spiega Silvia Simoncini, segretaria nazionale Nidil Cgil -. Stiamo registrando un grande malumore, per l’accordo sottoscritto dall’’Ugl che non li rappresenta, e per le lettere che a scaglioni stanno ricevendo. Vogliamo costruire un’azione sindacale collettiva per affermare diritti e tutele”.
La partita quindi è ancora aperta, e le multinazionali la stanno giocando sulle spalle di lavoratori che già portano un cassone di 80 per 80 centimetri e che non dovrebbe pesare più di dieci chili. “Purtroppo poi si ritrovano a caricarsi due o tre casse d’acqua, o dieci bottiglie di birra – racconta l’avvocata Giulia Druetta di Torino, che con un’azione collettiva è riuscita a ottenere una sentenza favorevole della Corte di Cassazione (la 1663/2020, contro Foodora) la quale ha stabilito l’applicazione del contratto collettivo della logistica e la subordinazione del rapporto - . Oggi le multinazionali pagano un terzo rispetto a quanto spenderebbero se rispettassero le norme di legge, come fa la maggior parte delle imprese. Inoltre, prendono un numero di lavoratori dieci volte superiore a quello che serve effettivamente. E questo perché non li pagano finché non li impiegano, non pagano un salario base, non pagano i contributi. Il nuovo contratto, che è un autentica truffa, dice di essere collettivo ma regola rapporti con lavoratori autonomi: è un totale controsenso anche da un punto di vista legale. Si è persa la bussola e si rischia di dare il via a un ribaltone. Prima abbiamo avuto Marchionne che ha spostato la produzione ed è uscito da Confindustria per non applicare il contratto collettivo. E ora?”.