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C’è un’Italia bloccata, che ha visto tirare giù una saracinesca sulla propria professione, sulla vita quotidiana e sul futuro. E un'altra fatta da cittadini e lavoratori a cui non è dato fermarsi, come i corrieri. La loro giornata è un continuo “stop&go”. Una corsa incessante in cui ci si arresta solo per un pacco da consegnare. Nel nostro Paese sono milioni ogni giorno. Si salta giù dal furgone, si citofona, si apre lo sportello, si cerca il collo giusto prima di affidarlo al cliente e ripartire. Ai tempi del Covid-19, rimanendo un passo indietro e protendendo il più possibile le braccia verso quelle del destinatario. Nonostante tutte le precauzioni, un pensiero batte come un martello: “Chissà se basterà per non ammalarsi”.
“A Torino – ci racconta Filippo Violante, delegato sindacale della Filt - nel magazzino Fedex-Tnt in cui sono impiegato, il volume lavorativo si è quasi dimezzato. Abbiamo costituito un comitato per la sicurezza e ottenuto una riduzione dell’orario. Il passo successivo è stato garantire i dispositivi protezione, come mascherine, gel, guanti e la sanificazione dei furgoni e del magazzino. Noi ci occupiamo di spedizioni dei prodotti dei pricipali distretti industriali della zona. Dal nostro punto di vista, le linee guida annunciate dal presidente del Consiglio non sono ancora state attuate: Conte aveva parlato di attività aperte solo se legate alla produzione di beni di prima necessità, ma noi continuano a consegnare di tutto. Non si può fermare l’Italia, ma crediamo sia diventato necessario stringere ulteriormente il cerchio”.
Ma quali sono le attività più pericolose dal punto di vista del contagio? Secondo Filippo Violante, i rischi maggiori si nascondono nei magazzini. “Per mantenere le dovute distanze tra i colleghi, si formano delle file lunghissime. Nei giorni scorsi abbiamo ottenuto la misurazione della temperatura degli addetti all’ingresso e all’uscita. Non è un provvedimento essenziale, però è una prevenzione in più. Anche se in realtà, ancora non si capisce bene se questo virus permanga sugli oggetti che maneggiamo. Noi non possiamo fare altro che utilizzare la mascherina, cambiare i guanti frequentemente, mantenere la distanza di sicurezza cercare di avere meno contatti possibile con i clienti. Da qualche giorno abbiamo smesso di consegnare i pacchi spediti in contrassegno per non maneggiare i soldi".
"C'è chi lavora in condizioni peggiori delle nostre, come i nostri colleghi impiegati per Amazon. Nonostante l’eliminazione dal catalogo dei prodotti non essenziali, le consegne sono aumentate di oltre il 30%. Alle 8.30 trovano i furgoni già carichi e partono per delle giornate che li vedono sulle strade con dei ritmi forsennati almeno fino alle 17.30. Certamente per tutti noi è migliorata la situazione del traffico, visto che sono molto poche le persone in circolazione, ma le situazioni di stress si sono riversate quasi totalmente sul rischio di contrarre il virus e di far ammalare le persone a noi care”.
Due giorni fa, il 24 marzo, lo sciopero nello stabilimento Amazon di Torrazza Piemonte. I lavoratori hanno giustificato la sospensione dell'attività con "un'assunzione di responsabilità civile per limitare il contagio da Covid-19”, denunciando come si continui a operare su merci non indispensabili e in condizioni inaccettabili, con i lavoratori obbligati in assembramenti in entrata e uscita dal proprio turno di lavoro e assenza di dispositivi di protezione individuale. Il sindacato ha ribadito la propria presenza al fianco di magazzinieri, autisti e corrieri del settore che fino a oggi hanno responsabilmente continuato a lavorare, nonostante il rischio di contagio e non sempre in condizioni di piena sicurezza. Ma è necessario comprendere - hanno sottolineato Filt e Nidil Cgil - che non tutte le attività del settore sono necessarie: è arrivato il momento di sospendere la movimentazione e il trasporto di quello che non è essenziale perché il diritto alla salute delle lavoratrici e dei lavoratori viene prima di tutto il resto.