Quanta energia elettrica produce e consuma un Paese, racconta della sua attività imprenditoriale, del suo stato di salute, di quanto si muove la società. Ed è, quello elettrico, un settore economicamente rilevante. Attraversato in pieno dalla sfida della modernizzazione tecnologica e della riconversione ambientale della propria attività. È stato, in parte ancora è, infatti, tra i più inquinanti: ha utilizzato e utilizza carbone e derivati del petrolio.

Nel 2019, di allora gli ultimi dati disponibili, la domanda elettrica nazionale ammonta a 319,6 TW·h (terawattora), di questi l'88% (283 TW·h) è produzione nazionale proveniente da centrali collocate in Italia, il 12 arriva dall'estero. Nel nostro Paese 170,9 TW·h ben il 64 per cento dell’energia elettrica, proviene da fonti non rinnovabili, e 112,9 (36% circa) da Fer (fonti energetiche rinnovabili), il massimo storico raggiunto.

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L’Enel, quello che fu il monopolista della produzione di energia elettrica, detiene circa il 50 per cento del settore e dà lavoro a quasi 30 mila tra donne e uomini. Ha investito molto sulle energie rinnovabile, possiede 597 impianti tra idroelettrico, solare, eolico, geotermia e biomasse con una capacità di 14GW, che equivale a 24,5Twh di energia prodotta. Gli impianti termoelettrici, quelli cioè che per produrre energia elettrica utilizzano fonti fossili sono 13 (5 a carbone, 8 tra gas e oil) per una capacità di 13GW e 35,2Twh di energia prodotta.

Se i numeri sono importanti anche le date meritano attenzione. Lo dicevamo anche da noi si deve arrivare all’emancipazione dalle fonti fossili. In quanto tempo? Entro il 2025 la decarbonizzazione Phase out, cioè la dismissione di tutti i siti di produzione a carbone. Tra trent’anni, invece, nel 2050, tutta l’Italia dovrà essere alimentata da energia prodotta da fonti rinnovabili. La scommessa è grande perché prevede investimenti rilevanti e soprattutto la capacità di riconvertire lavoro senza perdere occupazione anzi incrementandola. Riuscirci è un imperativo.