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Secondo i giudici, l’azienda di Nardò non ha richiesto all’agenzia interinale la semplice somministrazione a tempo determinato della manodopera di un lavoratore, genericamente rispondente ai requisiti tecnici di un determinato livello di inquadramento contrattuale. Piuttosto ha richiesto la somministrazione di uno specifico lavoratore per circa tre anni e mezzo: l’azienda voleva proprio lui, eppure non era disposta a stabilizzarlo o assumerlo alle sue dipendenze. Così ha trovato più conveniente sottoscrivere 111 (centoundici) contratti di somministrazione di breve durata, che a volte scadevano il venerdì e ripartivano il lunedì successivo. Apparentemente un’operazione legittima dal punto di vista dell’autonomia privata, ma che in realtà è fraudolenta. Identificare un singolo lavoratore manifesta chiaramente la rilevanza dell’intuitu personae, scrivono i giudici: ossia l’aspetto fiduciario e le specifiche qualità professionali del prestatore di lavoro.
Ntc, avendo indicato all’agenzia interinale i nominativi dei lavoratori da somministrare e non genericamente le mansioni o l’inquadramento contrattuale, ha scelto il singolo lavoratore a cui affidare la prestazione. Ha quindi adottato un comportamento proprio del datore di lavoro e relegato ad un piano meramente formale e strumentale l’apporto dell’agenzia interinale. Secondo la Corte d’Appello di Lecce il comportamento dell’azienda neretina configura l’elusione del divieto di interposizione di manodopera. “L’adozione formale dei meccanismi del contratto di somministrazione di lavoro, quando è finalizzata a scegliere il prestatore intuitu personae, assume quindi carattere fraudolento perché viola il divieto di interposizione e, nel contempo, elude il sistema di norme imperative che presidia il contratto a termine, così incorrendo nella sanzione della nullità. Tanto, anche in coerenza con i principi generali espressi dalla normativa comunitaria che ha tra i suoi obiettivi quello di prevenire l’abuso del ricorso al lavoro tramite agenzia interinale”, spiega l’avvocato Francesca Cursano, che ha seguito il lavoratore insieme a Fiom Cgil e Nidil Cgil.
La Corte d’Appello ha quindi annullato l’ultimo contratto in somministrazione del lavoratore e riconosciuto la sussistenza di un rapporto di tipo subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 2015. Ntc è stata anche condannata al pagamento di una indennità pari a 5 mensilità in base al terzo livello del contratto collettivo nazionale metalmeccanico in cui è stato inquadrato il driver per decisione dei giudici. L’azienda dovrà poi pagare le differenze retributive tra il livello precedentemente applicato e l’attuale, oltreché le spese legali.