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Se non ti presenti a lavoro e non dai spiegazioni, ti posso “dimettere” senza procedure e a costo zero. Lo stabilisce la nuova norma sulle dimissioni volontarie introdotta dal ddl Lavoro approvato nei giorni scorsi in via definitiva, che in 33 articoli aumenta la precarietà, liberalizza ulteriormente il mercato, concede benefici e vantaggi alle imprese.
Fenomeni senza fondamento
Stiamo parlando dell’articolo 19, “Norme in materia di risoluzione del rapporto di lavoro”, una disposizione che vuole rispondere alle lamentele dei datori a proposito di presunti fenomeni di inadempimenti contrattuali da parte dei lavoratori.
“I lavoratori sono considerati ‘furbetti’ perché si assenterebbero per farsi licenziare ed avere così diritto alla Naspi, l’indennità di disoccupazione, a cui non si ha diritto in caso di dimissioni. Un’idea molto cara ai consulenti – spiega Rossella Marinucci, del dipartimento Mercato del lavoro e politiche attive della Cgil –. Il punto è che non c’è evidenza numerica di questo fenomeno, non ci sono dati capaci di suffragarne l’effettiva diffusione. Nonostante questo, il governo ha comunque approvato una nuova disciplina per contenerli”.
2, 20, 200?
Sono 2, 20, 200? Non si sa quanti siano i lavoratori che si assentano senza dare spiegazioni per farsi licenziare, non c’è alcun dato che giustifichi questa come una priorità. E anche in legge di bilancio è stato inserito un emendamento per il quale per avere diritto alla Naspi in alcune situazioni c’è bisogno di un requisito in più.
“Ma davvero il governo pensa che questa sia una priorità, che siano questi i problemi? – dice ancora Marinucci – Siamo più propensi a credere che si tratti di propaganda. Che cosa hanno fatto i lavoratori a questo governo, che si accanisce così tanto? Con la scusa di colpire un fenomeno che noi consideriamo residuale, dà alle aziende mano libera per liberarsi dei lavoratori”.
Assenza ingiustificata
In che modo? La norma stabilisce che in caso di assenza ingiustificata del lavoratore che si protrae oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato o, in mancanza di questo, superiore a 15 giorni, il datore ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può (ma non deve, può) verificare la veridicità della comunicazione.
A quel punto il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore (leggi dimissioni) e non è necessaria la procedura di presentazione delle dimissioni telematiche. Il meccanismo non si applica se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.
Norma pericolosa e iniqua
Ma perché è una norma pericolosa per i lavoratori? Che cosa la rende scorretta e iniqua? Si tratta di un intervento che rischia di trasformare in dimissioni automatiche anche assenze che potrebbero non originare dalla scelta del lavoratore, senza un’adeguata garanzia di accertamento dei fatti e della reale volontà del lavoratore.
L’Ispettorato non ha l’obbligo di fare verifiche: non si sa poi che cosa potrebbe verificare, se la comunicazione dell’azienda, se il fondamento o i motivi dell’assenza, se la reale volontà del lavoratore. Inoltre il lavoratore sarà considerato dimissionario per sua volontà, ma senza che effettui la procedura telematica.
Dimissioni in bianco
“Affinché un lavoratore si possa dimettere, deve effettuare personalmente una procedura on line, un modo per evitare le dimissioni in bianco – aggiunge Marinucci -. È per questo che oggi si parla di dimissioni in bianco: la norma prevede che vengono date dal datore dopo 15 giorni di assenza ingiustificata, senza accertare la reale volontà del lavoratore. Sapete che cosa accade o può accadere? Che al ragazzo, magari straniero, il datore dica: stai a casa, c’è poco lavoro, e lui non sa che questa cosa non si può fare senza un ammortizzatore sociale. Quando torna in azienda, scopre che non è più dipendente”.
Accertare la volontà
Ci sono fior di sentenze della Cassazione che evidenziano la necessità di accertare la reale volontà del lavoratore in caso di assenza ingiustificata: con l’articolo 19 invece si dà alle aziende la possibilità di interpretare il comportamento del dipendente a prescindere.
E come si comunica all’interessato che è stato “dimissionato”? Questo rimane un mistero. Si decide per lui ma non si stabilisce cosa né come né quando gli va comunicata la decisione. È evidente il rischio: che nella trappola della norma finiscano le persone poco informate, che non sono consapevoli dei propri diritti, che neppure avrebbero fatto domanda di Naspi, perché non ne conoscono l’esistenza.
Procedure esistenti
Da ricordare che esistono già procedure contrattuali che danno alle aziende la possibilità di interrompere il rapporto in caso di assenza ingiustificata: la contestazione all’indirizzo conosciuto del lavoratore, l’attesa della risposta nei tempi previsti, quindi il licenziamento disciplinare.
“In questo caso l’azienda deve pagare all’Inps il cosiddetto ticket Naspi, una quota per ogni licenziamento o dimissioni per giusta causa, cioè per responsabilità del datore” conclude Marinucci. Stiamo parlando di massimo 600 euro per tre mesi, una somma irrisoria per un’azienda, che certo non giustifica un intervento del genere del legislatore.