Esuberi e cassa integrazione sono all’ordine del giorno, a dispetto del trionfalismo del governo. I numeri non mentono: a fornirli è lo stesso esecutivo, mediante il ministero delle Imprese. I tavoli di crisi attivi presso il dicastero sono 37, mentre quelli di monitoraggio (cioè aziende per le quali è in corso una possibile soluzione) sono 22. Totale: 59 grandi aziende (quelle sopra i 250 addetti) alle prese con difficoltà di ogni genere.

I lavoratori coinvolti, secondo attendibili stime sindacali, sono circa 70 mila. Dipendenti e collaboratori che vedono il futuro personale e della propria famiglia a fortissimo rischio. Non c’è comparto che si salvi: a occupare le prime pagine ci sono Acciaierie d’Italia e l’intera siderurgia, oppure il settore dell’automotive, alle prese con una transizione industriale e un passaggio all’elettrico che vede il Paese in forte ritardo. Ma notizie di licenziamenti provengono da ogni dove: dall’alimentare ai call center, dal tessile alle banche, dall’informatica all’editoria.

I TAVOLI DI CRISI

L’ex Ilva, anzitutto. La situazione è grave: la produzione è ben sotto l’obiettivo minimo di quattro milioni di tonnellate annue di acciaio, la manutenzione degli impianti è episodica. Il governo intende estromettere Arcelor Mittal dalla gestione di Acciaierie d’Italia e assumere almeno temporaneamente la guida dell’azienda, ma il percorso è tutto da definire. Giovedì 18 ci sarà un nuovo incontro tra governo e sindacati, forte è la speranza dei 10.700 lavoratori di ricevere notizie positive.

Di questi ultimissimi giorni è anche la decisione della multinazionale finlandese Wärtsilä di far saltare l’accordo sulla proroga di sei mesi del contratto di solidarietà per i dipendenti dello stabilimento di Bagnoli della Rosandra (Trieste), attivo nella produzione di motori navali. Una decisione che ha spiazzato sindacati e istituzioni, aprendo la strada a 300 esuberi nello stabilimento friulano e mettendo a rischio gli altri 600 posti di lavoro degli impianti italiani.

Dicevamo dell’automotive. Ai 410 lavoratori della Lear Corporation di Grugliasco (Torino), specializzata nella produzione di sedili, è stata prorogata di un anno la cassa integrazione straordinaria, ma l’azienda ha però confermato la volontà di procedere con 310 esuberi. Alla Marelli di Crevalcore (Bologna), la cui chiusura è stata annunciata in settembre, si sta ipotizzando un percorso di reindustrializzazione che - purtroppo appare ormai probabile - riuscirà a garantire un lavoro solo a una parte dei suoi 228 dipendenti.

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L’elenco sarebbe lunghissimo, è impossibile dare conto di tutte le crisi aziendali in atto. Ciò che qui preme sottolineare è la sua pervasività: c’è la moda con i casi La Perla, Brioni e Conbipel; la siderurgia con (oltre all’ex Ilva, ovviamente) la Jsw Steel Italy, di cui oggi (lunedì 15 gennaio) si riunisce il tavolo per la proroga della cassa integrazione in deroga; i call center con le annose situazioni di Almaviva Contact e Abramo Costumer Care.

Ci sono l’aerospazio (Dema e Piaggio Aero Industries) e la ceramica (Sanac), l’edilizia (Cooperativa Muratori Cementisti) e l’alimentare (Ferrarini), la gommaplastica (Fibre Ottiche Sud) e le telecomunicazioni (Italtel), l’elettronica (Flextronics e Jabil) e l’informatica (Softlab), l’arredamento (Natuzzi) e la chimica (Treofan, Sofinter), la chimica (Eurallumina) e la metalmeccanica (Blutec, ex Gkn, Industria Italiana Autobus, Speedline). Nessun settore al sicuro, e nessuno si salva da solo: servirebbe un grande progetto industriale per l’Italia, ma sembra che solo il sindacato ne avverta l’esigenza.