Monica è una storica dell’arte di Torino con un curriculum invidiabile: dopo il dottorato e le borse di studio, ha lavorato per committenti privati e da due anni per gli uffici periferici del ministero della Cultura. Ha 60 anni e il suo ambito è l’arte italiana dell’800-900.

È free lance, una partita Iva a collaborazione da sempre, anche adesso che ha incarichi con il ministero, un contrattino di 6 mesi, poi un altro di 6, adesso di 12 mesi. Cataloga, scrive redazioni di vincolo, effettua ricerche, riordina archivi fotografici, fa parte di commissioni. Una collaboratrice esterna ma con incarichi interni, sempre diversi a seconda dell’ufficio da cui dipende.

“È molto gratificante lavorare per il ministero, hai compiti diversi a seconda dell’ufficio – racconta –. Io ho lavorato in Piemonte e a Genova, ma ci sono colleghi che si sono trasferiti anche lontano da casa. A parte gli architetti, che saranno certamente tutti confermati probabilmente per via delle opere del Pnrr, adesso siamo tutti in bilico”.

Monica si riferisce agli ottocento professionisti, archeologi, architetti, archivisti, bibliotecari, restauratori, ingegneri, tecnici contabili, esperti catalogatori, di gare e contratti, comunicatori, collaboratori a partita Iva da tre anni dello stesso dicastero. A maggio hanno fatto un presidio con Nidil Cgil e Uiltemp per chiedere la stabilità lavorativa e il riconoscimento della professionalità. Ma stanno ancora aspettando una risposta.

Il fatto è che il ministero della Cultura alla fine del 2020 ha deciso di sopperire alla carenza di personale, che si attesta intorno alle 8 mila unità, con l'uso di collaboratori a partita Iva, di professionisti precari. Dopo i primi avvisi di selezione ci sono state le proroghe, poi altri bandi.

“Siamo in attesa di un nuovo bando, potremmo essere rimescolati e non ricapitare nello stesso ufficio e con i medesimi incarichi di prima – aggiunge Monica –. Non solo. La nostra situazione è drammatica perché ci sarà una sforbiciata, un terzo di noi non verrà riconfermato dato che hanno diminuito i posti. Eppure il nostro lavoro è fondamentale. E utilizzarci a partita Iva è solo un escamotage per il ministero per avere collaboratori a disposizione, da accendere e spegnere come un interruttore quando serve”.

Alcune figure professionali sono state cassate, così come i posti a disposizione. In Umbria non ci sono avvisi per storici dell’arte, a Genova sono scomparsi gli archeologi, in altre province i restauratori.

“In realtà il bisogno di personale c’è – sottolinea Monica –. Il ministero ha voluto rimarcare la discontinuità, ma il nostro è lavoro non è collaborazione. E nel mio caso, con l’ultimo incarico alla sovrintendenza di Imperia e Savona dove ho lavorato fino a dicembre 2023, ho ricevuto affermazioni di stima da parte dei funzionari, speravano che fossi confermata. È assurdo che dopo tre anni ci lascino a casa, che si facciano contratti di sei mesi in sei mesi. Abbiamo la formazione, abbiamo l’esperienza, ma non possiamo programmare niente, possiamo fare solo da tappabuchi”.

Le richieste dei lavoratori e dei sindacati Nidil e Uiltemp sono chiare: l’esperienza maturata negli uffici e negli istituti periferici del ministero non venga azzerata ma valorizzata, per arrivare a una stabilità che gioverebbe a questi lavoratori e al patrimonio culturale italiano.