PHOTO
Federica è un’archeologa, ha 45 anni e da quando si è laureata ha sempre collaborato con il ministero della Cultura, ricoprendo diversi ruoli, a Roma con sovrintendenze e parchi, e in giro per l’Italia. Sempre come precaria. Sempre a partita Iva. Sempre come archeologa. “Ho totalizzato 18 anni di lavoro pressoché continuativi – spiega Federica -, contratto dopo contratto, stipulati direttamente con il Ministero, rinnovo dopo rinnovo”.
400 lasciati a casa
Federica è una delle 400 lavoratrici del dicastero di via del Collegio Romano altamente specializzate, con formazione ed esperienza, che a fine anno sono rimaste a casa, abbandonate al loro destino dopo aver sopperito per anni e anni alla carenza cronica di personale e aver contribuito alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale italiano.
Una delegazione ha partecipato al presidio organizzato nella Capitale da Nidil Cgil e Uitemp sotto la sede del Ministero, al termine del quale è stata fissata una data di incontro con l’ufficio di diretta collaborazione del ministro Alessandro Giuli. L’obiettivo dei sindacati: garantire continuità a queste preziose risorse.
Proroghe su proroghe
“È dal 2020 che queste persone ricoprono ruoli che normalmente sono svolti da lavoratori dipendenti, con risorse prorogate di volta in volta - spiega la segretaria nazionale Nidil Roberta Turi -. All’inizio erano circa un migliaio di collaboratori, man mano il numero si è ridotto. Per fortuna nel frattempo sono stati banditi dei concorsi, e una parte di loro è riuscita a essere assunta, un’altra è rimasta fuori. Anche perché per come fatti i concorsi non si consente una vera valorizzazione delle esperienze maturate anche attraverso queste collaborazioni precarie”.
Garantire la continuità
A fine anno nella legge di Bilancio non è stata predisposta una proroga a questi contratti, che adesso sono scaduti. “Chiediamo che attraverso il Milleproroghe oppure il disegno di legge Cultura vengano previsti stanziamenti per continuare i loro rapporti di lavoro – prosegue Turi -. Purtroppo il Ministero è stato uno degli enti pubblici che ha subito tagli, che si abbattono principalmente sul personale precario. Chi ha pagato di più questo sacrificio sono appunto le persone”. E cioè archeologi, storici dell’arte, architetti, bibliotecari, solo per citare alcune professionalità, tutti accomunati dallo stesso destino.
Lavoro bellissimo e precario
Rosa Miriam, dopo la laurea in storia e conservazione dei beni culturali, ha iniziato a lavorare nelle biblioteche, “un lavoro bellissimo e precario, a progetto, a cococo, con collaborazioni” racconta. Prima con cooperative del settore, poi dal 2021 con incarichi diretti con il Ministero come libera professionista per periodi molto brevi, che hanno coperto ogni anno circa sei mesi di attività.
Costo alto, per le donne
“Come me la sono cavata negli altri sei? Facendo la guida turistica, per campare – spiega Rosa Miriam -. Naturalmente quando la vita lavorativa è precaria, lo è anche quella personale: poiché volevo costruire un’identità professionale, ho fatto delle scelte e ho dato priorità al lavoro. La precarietà ha un costo enorme, soprattutto per noi donne: in base alle mie conoscenze e amicizie, posso dire che su dieci professioniste del settore cultura, tre o quattro hanno famiglia e figli. Questa nostra generazione ha puntato soprattutto alla costruzione di noi stesse attraverso il lavoro. E la società non ci ha dato una mano. Io ho vissuto con mia madre e questo mi ha permesso di non pagare l’affitto”.
A bordo di una zattera
La passione per la cultura e per questo settore davanti a tutto, quindi, ma il prezzo che pagano questi lavoratori è sempre alto. “La vita del precario è così – conclude Federica -: sai che oggi c’è dieci, domani zero, dopodomani magari uno. Impari a stare su questa zattera e guardare sempre l’orizzonte”.