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Una città cantiere e un cantiere città. Non è un gioco di parole: entrambe le definizioni descrivono bene la realtà di Monfalcone, “capitale” del Primo Maggio 2024. Quassù, sulla sponda più settentrionale dell’Adriatico, Fincantieri è un gigante che crea giganti, enormi alberghi galleggianti lunghi come tre campi di calcio e da 175mila tonnellate di stazza, come la Sun Princess, consegnata a febbraio. Il cantiere, con i suoi bacini, le banchine, i suoi imponenti carroponti e le sue gru, occupa un’area immensa, dove ogni giorno lavorano fianco a fianco 8mila persone, ma più di diecimila nei momenti di lavoro più intenso. Tutto questo in una città che oggi, e per giunta dopo vent’anni di vero e proprio boom demografico, conta appena 30mila abitanti.
Il sito vanta una storia più che centenaria, che ha portato sì lavoro e crescita, ma anche ferite profonde come quella dell’amianto. È una storia che dagli anni Novanta ha assunto caratteristiche e traiettorie del tutto nuove, accelerando una transizione demografica e sociale che fa di Monfalcone quasi un unicum, a Nordest e probabilmente anche in Italia. Tra il 2009 e il 2024 la comunità straniera, già consistente soprattutto per la presenza di bengalesi attirati dal cantiere, si è pressoché triplicata, e oggi a Monfalcone il 32% dei residenti è un cittadino straniero, praticamente un abitante su tre, ma sfiorano il 40% includendo i residenti con doppia cittadinanza. Percentuali che diventano ancora più alte tra le giovani generazioni e quindi nelle scuole. I soli bengalesi, 4.700, rappresentano più del 15% dei residenti.
Se la sfida dell’integrazione non è facile, vista anche la velocità con cui il tessuto demografico e sociale sta cambiando, si tratta di una strada obbligata. Che la sindaca leghista Anna Maria Cisint, fedelissima di Matteo Salvini e candidata per un posto a Bruxelles sulla scia della sua ultima crociata, quella contro le moschee, ha deciso di imboccare contromano, all’insegna del più esasperato e cinico muro contro muro.
Ma le difficoltà non sono soltanto fuori dal cantiere. Leader mondiale nel navale, dal comparto cruise al militare, Fincantieri non ha risolto le contraddizioni di un modello di business e di produzione basato su un ricorso strutturale all’appalto. Degli 8-10mila operai che lavorano nel sito, solo 1.700 sono dipendenti diretti del gruppo. Il resto è appalto, che comprende sia società storicamente insediate nel cantiere sia una miriade di aziende mordi e fuggi, una selva oscura dove il rispetto dei contratti, delle norme sulla sicurezza, la tutela dei diritti diventano sovente l’eccezione e non la regola. Orari giornalieri che arrivano a 10-12 ore, mimetizzati in buste paga apparentemente regolari, ma che corrispondono a retribuzioni di pochi euro all’ora: la cosiddetta paga globale, un sistema al centro di un’indagine che a Venezia ha portato al rinvio a giudizio di 26 persone tra funzionari Fincantieri e titolari di ditte degli appalti operanti nel cantiere di Marghera. Solo una piaga in un organismo sano o una forma esasperata di flessibilità strutturalmente connessa al business della cantieristica?