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“Mister Besoz, noi, rappresentanti eletti, legislatori e funzionari pubblici di tutto il mondo, ti informiamo che i giorni di impunità di Amazon sono finiti”. Inizia così la lettera che oltre 400 parlamentari di 35 Paesi (Italia compresa) di tutti e sei i continenti spediscono in contemporanea alle 17 di giovedì 3 dicembre per chiedere all’amministratore delegato del colosso dell’e-commerce di pagare: i lavoratori, il costo ambientale delle sue attività e le tasse. E si impegnano a sostenere il movimento globale Make Amazon Pay, non solo a parole ma anche con azioni e proposte legislative in ogni congresso, parlamento e Stato in cui lavorano.
Dopo la giornata di azione mondiale del Black Friday il 27 novembre scorso, dichiarata da Uniglobal Alliance, a cui la Cgil aderisce, e in Italia declinata dalla confederazione con l’evento “Red Friday. Sui diritti non si fanno sconti”, prosegue la campagna promossa in tutto il mondo da organizzazioni, sindacati, lavoratori, attivisti, ambientalisti, che hanno unito le forze per chiedere giustizia al gigante delle vendite on line. Per questa iniziativa chiama a raccolta i rappresentanti eletti dai cittadini, tra cui compaiono anche figure politiche di spicco come l’ex leader del partito laburista britannico Jeremy Corbyn, il portavoce dell’Hdp turco, partito Democratico dei popoli, Ebru Günay, il leader della coalizione di sinistra La France Insoumise Jean-Luc Mélenchon, l’economista greco Yanis Varoufakis, fondatore del movimento paneuropeo MeRA25, e la vicepresidente del parlamento europeo Heidi Hautala.
“La tua grande ricchezza si basa sulle capacità dei tuoi lavoratori e sulle cure che ricevono da amici e familiari e dalla comunità – ricorda la lettera dei parlamentari -. Sono le stesse persone che hanno rischiato la salute loro e quella dei loro cari per fornire beni ai consumatori e realizzare per te enormi profitti. Ma mentre la tua ricchezza personale è cresciuta di circa 13 milioni di dollari all’ora nel 2020, questi lavoratori operano in condizioni pericolose, ricevono un aumento minimo o nullo della retribuzione e subiscono ritorsioni per i loro sforzi di difendersi e organizzarsi con i colleghi”. Una realtà fatta di fatica, sfruttamento, salari bassi e comportamenti antisindacali che la Cgil contesta da anni e che oggi un’alleanza mondiale ha deciso di denunciare per dire basta.
I 400 firmatari della lettera a Besoz si focalizzano anche sull’impatto ambientale delle attività della multinazionale: “L’ascesa al comando della tua azienda ha comportato costi straordinari per il nostro ambiente. Sebbene tu abbia personalmente riconosciuto l’emergenza climatica tra le sfide decisive della nostra era, l’impronta di carbonio di Amazon è superiore a quella di due terzi dei Paesi del mondo. Il tuo piano per la riduzione delle emissioni non è sufficiente per rimanere entro i confini ambientali del nostro pianeta e difficile da credere, considerato il record di promesse non mantenute da Amazon sulla sostenibilità e i contributi finanziari versati a sostegno della negazione del cambiamento climatico”.
Le ultime accuse riguardano la posizione di monopolista: “Hai minato le nostre democrazie e la loro capacità di rispondere alle sfide collettive. Le tue pratiche monopolistiche hanno schiacciato le piccole imprese, i tuoi servizi web hanno violato i diritti sui dati e tu in cambio hai contribuito con una miseria. Per esempio, nel 2017 e nel 2018, Amazon ha pagato zero imposte federali negli Stati Uniti. Attraverso l’evasione fiscale che pratichi a livello globale, danneggi i servizi pubblici, sanità, istruzione, casa, sicurezza sociale e infrastrutture”.
Diritti dei lavoratori, impatto ambientale, evasione fiscale sono le questioni poste dalla campagna a un’azienda che fa orecchie da mercante, che rifiuta il dialogo sociale e la contrattazione collettiva, strumenti vitali che le società moderne utilizzano per proteggere la salute dei lavoratori, salvare la vita delle persone e affermare la dignità del lavoro.