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Bonomi contro Landini. Confindustria contro i sindacati. Le imprese contro i lavoratori. A leggere la lettera inviata dal presidente degli industriali alle associazioni affiliate lo scontro è duro ed è aperto. E al centro ci sono i contratti. Bonomi dice di volerli "rivoluzionari" anche se ammette che il termine poco si addice alla sua organizzazione. Landini ribatte: "Più che una rivoluzione mi pare una restaurazione". Sul tavolo, oltre agli aumenti salariali, in realtà, c'è il valore del contratto collettivo nazionale di lavoro. La ricetta di Confindustria è semplice: ai lavoratori i soldi (pochi) devono andare attraverso welfare aziendale e previdenza integrativa, per formazione e assegni di ricollocazione, ma non in busta paga. Devono essere agganciati alla produttività (che, però, in Italia non è mai agganciata agli investimenti). Sono queste le condizioni che Viale dell’Astronomia porrebbe per i rinnovi in ballo: 57 quelli che coinvolgono l’associazione guidata da Bonomi e quasi tutti i contratti sono scaduti tra il 2019 e il 2020.
Tecnicamente la sfida è tra il Tem – trattamento economico minimo che i sindacati vogliono aumentare oltre l’indice dell’inflazione visto che i prezzi scendono ma il potere d’acquisto di più – e il Tec – trattamento economico complessivo. Il convitato di pietra è il salario minimo legale che il governo vorrebbe introdurre a nove euro lordi l’ora. Se è così – sembra dire Confindustria - la livella va spinta in basso. Il riferimento, secondo Bonomi, è il Patto per la Fabbrica siglato a marzo 2018 da tutte le parti sociali. La verità è che il contratto collettivo nazionale di lavoro è scomodo. E soprattutto che gli aumenti spostati sul welfare sono detassati e quindi convengono alle aziende. La sintesi della Bonomi-ricetta è quindi più soldi alle imprese, meno, molti meno, ai lavoratori.
Sul fronte diametralmente opposto c’è la Cgil di Landini. Il segretario generale di Corso d’Italia non fa che ripeterlo: la soluzione alla crisi passa proprio per il rinnovo dei contratti. Giudica semplicemente “scandaloso” che ci siano lavoratori essenziali come quelli della sanità privata che fino all’altro ieri erano eroi e oggi si trovano a elemosinare un rinnovo che non arriva da 12 anni. E questo con buona pace di un altro uomo di Confindustria, Maurizio Stirpe che da perfetto numero due ha provato a difendere l’indifendibile arrivando persino ad accusare i sindacati di categoria di non rispettare i patti.
L’elenco è lungo e il conto impietoso. Dieci milioni di lavoratori privati (a cui si aggiungono 3 milioni e 3oo mila pubblici) hanno un contratto scaduto. A parte il record negativo della sanità privata, è tempo di rinnovare anche il contratto metalmeccanico. La trattativa è aperta e, nei mesi di settembre e ottobre, si prospetta serrata con due giorni di incontri a settimana per discutere della piattaforma unitaria elaborata dalle tute blu di Cgil, Cisl e Uil e anche dei nodi normativi e salariali. Aspettano anche gli addetti di legno-arredo e gomma-plastica che sono più o meno 300mila. Moda e tessile, multiservizi, terziario e vigilanza privata e ancora marittimi, portuali, merci e farmacie restano in attesa. A scorrere la lista aggiornata dei 935 contratti registrati al Cnel si scopre che il 62% è fuori tempo massimo. Così male mai nella storia industriale.
Gli alimentaristi, dal canto loro, hanno siglato il rinnovo solo con tre associazioni ma non con Federalimentare. Eppure, commentano dalla Flai Cgil, il dato di fatto è che il contratto firmato lo scorso 31 luglio è applicato dalla maggioranza delle grandi imprese e dalle multinazionali, il che forse spiega, almeno in parte, il nervosismo di Confindustria che condisce la sua contro-rivoluzione con un'accusa tanto ripetuta quanto pretestuosa: ci sarebbe un sentimento diffuso con "intimidazioni alle imprese per indurle a tacere".
Nervosa o meno Confindustria siederà allo stesso tavolo di Cgil, Cisl e Uil il 7 settembre. E sarà il primo faccia a faccia dopo l’elezione di Bonomi. L’ex presidente di Assolombarda vuole un “Grande Patto per l’Italia” perché dice “siamo tutti sulla stessa barca” e, però, sembra voler tenere le scialuppe tutte per sé. Sui contratti nazionali e sugli aumenti salariali, sul ruolo dello Stato in economia, come sui licenziamenti che lui vorrebbe sbloccare, le distanze a quel tavolo per adesso sembrano siderali.