Sono già 63 anni: 63 anni di un dolore che non passa. Quello per la morte, nella miniera di carbone del Bois du Cazier a Marcinelle, l’8 agosto del 1956, di 262 minatori, 136 dei quali italiani, andati in Belgio per sfuggire alla fame di un paese ancora non uscito vincente dalla ricostruzione post-bellica. Furono soltanto 13 i minatori tirati fuori dal disastro, mentre 17 corpi tra quelli seppelliti nel sacrario del Bois du Cazier sono ancora senza nome. E proprio per ricordare questa tragedia l'8 agosto è stata fissata la ricorrenza della Giornata del Sacrificio del lavoro italiano nel mondo. È giusto però ricordare anche le altre vittime: 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 5 francesi, 3 ungheresi, un inglese, un olandese, un russo e un ucraino.

Ma ricordare ogni anno Marcinelle non è solo una sacrosanta operazione memorialistica, un tributo al ricordo di chi morì per cercare con il lavoro una vita migliore. Questa tragedia ci ricorda che ancora nonostante il progresso tecnologico si continua a morire sul lavoro. E richiama alla memoria il nostro passato: quando eravamo noi a emigrare e a portare le nostre braccia in paesi dove venivamo considerati alla stregua di bestie da sfruttare fino allo sfinimento in un contesto di razzismo ed esclusione sociale: proprio la sorte di quanti continuano a rischiare la vita in mare per approdare in Europa. 

Tra i tanti commenti, scrive su twitter il presidente del Parlamento Ue David Sassoli: "Onoriamo le sofferenze del passato con un' Europa attenta a condizioni di lavoro dignitose e umane".

Tremenda la dinamica dell’incidente: nella miniera di carbone una gabbia parte dal punto d'invio 975m del pozzo d'estrazione con un vagoncino male agganciato, che si blocca in ascensore insieme a un altro vagoncino. L'ascensore sbatte in una putrella del sistema di invio e la putrella trancia una condotta d'olio a 6 kg/cm² di pressione, i fili telefonici e due cavi in tensione (525 Volt), oltre alle condotte dell'aria compressa, provocando un incendio devastante.

Il contesto storico in cui la tragedia avvenne è quella di un Belgio alla ricerca di manodopera per la ricostruzione industriale e che si rivolge soprattutto all’Italia. Frutto di questa scelta fu la sigla del protocollo di intesa italo-belga del 23 giugno 1946 che prevedeva l'invio di 50.000 lavoratori italiani in cambio della fornitura annuale di un quantitativo di carbone, a prezzo preferenziale, compreso tra due e tre milioni di tonnellate.

Tuttavia le condizioni in cui si trovarono a vivere e lavorare i minatori italiani furono terribili e tenute all’oscuro in patria.  All'arrivo a Bruxelles i lavoratori venivano accompagnati negli alloggi, le famose cantines: baracche gelide d'inverno e torride d'estate. Anche perché trovare un alloggio in affitto era infatti quasi impossibile all'epoca, anche a causa delle discriminazioni. Davanti alle case da affittare era abbastanza usuale trovare scritte di questo tipo: “ni animaux, ni étranger”, né animali, né stranieri.

Precarissime e insicure anche le condizioni di lavoro, con il risultato che tra il 1946 e il 1955 quasi 500 operai italiani trovano la morte nelle miniere belghe, senza contare il lento flagello delle malattie d'origine professionale, a partire dalla silicosi.

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