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Crescono i precari e sempre più spesso si fugge dal posto di lavoro. Secondo i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps, elaborati dalla Cgil Marche, nel 2021 le aziende marchigiane hanno assunto 203.595 persone, il 24,6% in più rispetto allo stesso periodo 2020 (+40 mila circa) ma al contempo il 2,9% in meno rispetto al 2019. Dunque, non sono stati ancora raggiunti i livelli pre-pandemia.
Nello stesso periodo, le cessazioni dei rapporti di lavoro sono state 186.732, dato che fa registrare un incremento del 12% rispetto al 2020 e al contempo una decrescita del 7,4% rispetto a due anni fa. Il saldo assunzioni – cessazioni risulta positivo nel complesso (+16.863) e per le singole tipologie contrattuali, a eccezione dei contratti a tempo indeterminato, che segnano -15 mila unità.
Quanto al fenomeno delle dimissioni, riparte nel 2021 il trend di crescita iniziato nel 2017: a livello nazionale, nel 2017 erano il 13,83% del totale delle cessazioni dei rapporti di lavoro, nel 2018 il 14,39%, nel 2019 il 15,19%, nel 2020 il 15,44% e nel 2021 il 18,13%.
Sul totale delle nuove assunzioni, quelle a tempo indeterminato sono una quota molto ridotta (11,2%); la tipologia contrattuale maggiormente presente è il contratto a termine (38,5%), seguita dal contratto intermittente (17,1%). Anche l’incidenza dei contratti a termine sul totale è inferiore alla media nazionale (38,5% contro 44%). In riferimento alle attivazioni di contratti di somministrazione, il valore regionale è di poco superiore alla media nazionale (16,3% contro 14,2%).
Rilevante è anche la differenza di genere: sul totale nelle nuove assunzioni part-time i due terzi riguardano donne, mentre solo il 38,5% delle trasformazioni in contratti a tempo indeterminato (6.689) ha coinvolto le donne.
“Una conferma anche per le Marche di un 2021 come un anno di crescita senza occupazione – afferma Rossella Marinucci, segretaria regionale Cgil Marche –. Numeri ancora lontani dai livelli pre-pandemici e che destano preoccupazione rispetto alle prospettive future. Un anno in cui l’unica certezza è l’aumento della precarietà, soprattutto per le donne e per i giovani, particolarmente penalizzati nelle stabilizzazioni. C’è poi il fenomeno della fuga dal lavoro: dimissioni volontarie che, solo per pochi ,rappresentano una sana mobilità verso lavori più stabili e meglio retribuiti mentre, nella maggior parte dei casi, esprime il rifiuto di condizioni inaccettabili, da cui si scappa anche senza una prospettiva di reimpiego. Fuga dalla precarietà, dalle professioni non qualificate, dai part-time involontari, dal lavoro povero e dal burn-out: fenomeno a cui si può e si deve rispondere con la creazione di piena e buona occupazione”.