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Claudio, delegato Carrefour, Milano
“Il vero problema è che queste aperture hanno il gradimento della clientela, quando si abitua la gente a un determinato servizio, pur non fondamentale, tornare indietro è difficile”. Claudio, delegato Filcams e dipendente Carrefour di Milano, ricorda che ancora prima della liberalizzazione di orari e aperture introdotta dal decreto Monti e prima che partisse la campagna Filcams ‘La festa non si vende’ c’erano già manifestazioni unitarie contro le aperture festive, soprattutto il 25 aprile e il primo maggio. “La verità è che si è perso il senso di queste feste, il giorno festivo ormai è un’occasione per andare a consumare”.
Anche per questo bisognerebbe aprire una discussione più generale, secondo Claudio. “Si parla tanto di difesa dell’ambiente, forse sarebbe opportuno ragionare su quanto sia sostenibile dal punto di vista ambientale un modello che pretende che tu debba fare la spesa sette giorni su sette, in alcuni casi anche h24. Abbiamo un pianeta con risorse limitate, è giusto sprecarle per fornire servizi che non sono fondamentali?”.
Di fronte alla richiesta di lavorare la domenica e i festivi i lavoratori poi non sono tutti uguali, spiega il delegato Filcams, e se le vecchie assunzioni hanno qualche diritto in più, gli ultimi arrivati sono carne da macello. “Nelle lettere di assunzione le aziende inseriscono sempre il lavoro domenicale e nei festivi e quando si firma una lettera di assunzione il rapporto non è mai alla pari, è totalmente squilibrato, o accetti quelle condizioni o non lavori”.
Un ricatto che trova ulteriori declinazioni, ad esempio quando ai part-time a 24 ore si prospetta una possibilità di incremento dell’orario di lavoro. “Ma il tempo passa, si arriva a 40, 45 anni con lo stesso contratto part-time a 24 ore. Ci sono anche queste realtà nella grande distribuzione, l’abuso del part-time, utilizzato all’occorrenza come arma ricattatoria”.
Ci sarebbe poi da discutere, secondo Claudio, degli incrementi occupazionali ed economici che questo sistema avrebbe creato. “Anche il settore della grande distribuzione è in crisi. Prima la crisi economica, poi la pandemia, migliaia di persone hanno perso il lavoro: tutto questo ha un riflesso su di noi, anche se vendiamo alimentari la gente spende meno”. E non sono certo le aperture domenicali e festive a sollevare le sorti dei supermercati.
“E poi siamo un settore che non si è mai fermato – ricorda - avremmo il diritto di fermarci qualche giorno e riposarci un po’”. Qualche giorno lontano dai timori che si sono insinuati nel lavoro quotidiano, lontano dalla tensione, dallo stress accumulato in questo lunghissimo anno.
Maria, delegata Zara, Roma
Per alcune fasce di lavoratori le chiusure imposte dalla pandemia hanno significato un passo indietro verso un modello organizzativo di lavoro superato nell’ultimo decennio, quello con ritmi più umani, con le pause necessarie e il rispetto del tempo privato delle persone.
“Nell’ultimo anno con le chiusure forzate abbiamo riscoperto il piacere di stare a casa con la famiglia, nonostante tutto – racconta Maria, delegata Zara di Roma – il piacere di una giornata di riposo e di svago, che fino a un anno fa mancava completamente”. Nella tragica anomalia di un’emergenza sanitaria senza precedenti qualcuno ha ritrovato un senso di normalità e di libertà di cui aveva perso il ricordo.
“Dopo aver vissuto sulla nostra pelle la richiesta di massima flessibilità da parte delle aziende, questo tempo è stato un regalo per noi” dice Maria, ricordando che è stato grazie a un contratto integrativo aziendale che i lavoratori della multinazionale spagnola in Italia sono riusciti a ottenere un sabato e una domenica liberi al mese, di cui prima usufruivano solo ogni sei settimane: sempre separatamente, una volta il sabato e una la domenica, perché un intero weekend libero è concesso tre o quattro volte l’anno, e questa è stata una conquista recente, sottolinea Maria, arrivata poco prima della pandemia.
Anche la delegata di Zara invoca una maggiore tutela per i lavoratori più vulnerabili, con contratti a termine e in scadenza, più facilmente soggetti a pressioni da parte dell’azienda, perché dopo uno o due anni di contratti a termine o di lavoro a intermittenza, è facile scendere a compromessi sperando in un contratto a tempo indeterminato.
“Possiamo scegliere se lavorare nei festivi o meno - spiega – ma quando si avvicina una giornata di festa, puntualmente, arriva la discussione con i responsabili, che parlano separatamente con i ragazzi, mandano messaggi per invitarli a lavorare. Devono essere i lavoratori a decidere di farlo, perché magari hanno bisogno di quel 35% in più di retribuzione per la giornata festiva, o decidere che quella somma, una volta tassata, non vale una giornata a casa con la famiglia o con gli amici”. La maggiorazione retributiva per il festivo è la stessa da anni e non rappresenta un giusto incentivo al sacrificio domenicale e festivo.
Ma cambiare non è impossibile secondo Maria. “Forse è proprio questo il momento giusto per affrontare questo tema con le aziende: ci sarebbe un ritorno da entrambe le parti, perché se i lavoratori sono soddisfatti e contenti affrontano il lavoro con un altro spirito”.