Il punto 41 del Programma economico nazionale per il quinquennio 1966-1970 recita: “Nel campo del lavoro, la definizione di uno statuto dei diritti dei lavoratori - di cui la legge sulla giusta causa già approvata dal Parlamento è la prima realizzazione - introdurrà nell’ordinamento giuridico norme atte a garantire dignità, sicurezza e libertà nei luoghi di lavoro, in conformità alle norme della Costituzione. In particolare, tale statuto dovrà disciplinare giuridicamente i licenziamenti individuali e collettivi e le  Commissioni  interne,  e garantire il libero esercizio dell’attività  sindacale nei luoghi  di lavoro. Per quanto riguarda i lavoratori italiani all'estero, sarà perseguita  ogni opportuna tutela dei loro diritti relativi al rapporto di lavoro e al trattamento previdenziale e sociale, attraverso l’azione comunitaria nell'ambito della Ce e  con accordi e convenzioni bilaterali con i Paesi interessati”.

Nel secondo dopoguerra è Giuseppe Di Vittorio il primo a parlare esplicitamente della necessità di uno Statuto dei diritti dei cittadini lavoratori prendendo la parola nel corso dei lavori del Congresso del Sindacato dei chimici nell’ottobre 1952.

“I lavoratori sono uomini e liberi cittadini della Repubblica Italiana anche nelle fabbriche, anche quando lavorano (…) - scriveva su l’Unità dell’11 ottobre il segretario generale della Cgil - Nell’interesse nostro, nell’interesse vostro dei padroni, nell’interesse della patria, rinunciate all’idea di rendere schiavi i lavoratori italiani, di ripristinare il fascismo nelle fabbriche (…) Io voglio proporre a questo Congresso una idea che avevo deciso di presentare al prossimo congresso della Cgil (…)  facciamo lo statuto dei diritti dei lavoratori all’interno dell’azienda. Formulato in pochi articoli chiari e precisi, lo statuto può costituire norma generale per i lavoratori e per i padroni all’interno dell’azienda (…)”.

Ma le parole di Di Vittorio si infrangono nella dura realtà del primo decennio dopo la guerra. Il 1960 sembra iniziare nel peggiore dei modi con il governo Tambroni che provoca e reprime.

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Proprio a partire dalle proteste popolari e antifasciste avviate a Genova nel mese di giugno 1960, però, il quadro generale dell’Italia cambia velocemente e gli equilibri politici conoscono un’evoluzione con la nascita dei governi di centro-sinistra. Nel dicembre del 1963 si ha la formazione del primo Governo presieduto da Aldo Moro. Nel discorso alle Camere, il presidente del Consiglio dichiara il proposito di definire, sentite le organizzazioni sindacali, uno Statuto dei diritti dei lavoratori al fine di garantire dignità, libertà e sicurezza nei luoghi di lavoro. 

Nel febbraio 1964 la Segreteria della Cgil formalizza con una lettera a Pietro Nenni il proprio giudizio positivo sullo Statuto, ribadendo la richiesta che la legge garantisca i diritti costituzionali dei lavoratori, la giusta causa nei licenziamenti e il riconoscimento delle commissioni interne. Intanto Gino Giugni, incaricato direttamente da Nenni di redarre con il giurista Tamburrano tre disegni di legge su Commissioni interne, giusta causa e diritti sindacali, inizia la sua collaborazione con il Governo ed entra a far parte della Commissione nominata dal ministro del lavoro Bosco per predisporre un progetto di legge sui licenziamenti, approvato dal Parlamento 15 luglio 1966 (la legge 604 sui licenziamenti prevederà la giusta causa e l’obbligo di un indennizzo monetario, non quello della riassunzione, in caso di licenziamento ingiustificato).

Probabilmente l’iter della legge avrebbe avuto un andamento molto più accidentato, se nel frattempo non fosse scoppiato nel Paese il Sessantotto. In questo contesto di straordinaria mobilitazione collettiva e di eccezionale fermento culturale, il dibattito sullo Statuto si accende. 

Il 2 dicembre 1968 ad Avola, in provincia di Siracusa, una manifestazione a sostegno della lotta dei braccianti per il rinnovo  del contratto di lavoro finisce nel sangue: la polizia apre il fuoco e due lavoratori - Giuseppe Scibilia, di 47 anni, e Angelo Sigona, di 25 - vengono uccisi. Quarantotto saranno i feriti, due gravi.

“Se il mio primo impegno assunto quale ministro del lavoro è stato quello di venire ad Avola - dirà Giacomo Brodolini (il neo ministro aveva trascorso la notte del precedente capodanno con i lavoratori della fabbrica romana Apollon) - ciò non è avvenuto a caso. Era mio dovere rendermi conto di come situazioni economiche e sociali, che appartengono ad un’altra società e ad un altro secolo, ancora gravino sulla Sicilia e chiedano, soprattutto a chi ha la responsabilità delle maggiori decisioni, la attuazione urgente di politiche in grado di creare le condizioni per un definitivo superamento di ingiustizie antiche che suonano scandalo per un Paese civile, progredito, che voglia essere socialmente avanzato. I cosiddetti fatti di Avola non sono un evento occasionale ma il frutto di una condizione di arretratezza secolare che non può più attendere lente maturazioni. (…) Nella realizzazione del programma di governo, io desidero in primo luogo ribadire l’impegno di attuazione dello Statuto dei lavoratori e cioè di una politica legislativa per i lavoratori che si deve articolare in una serie di leggi.  (…) Se vogliamo che il sangue di lavoratori come Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona non abbia più a scorrere come conseguenza di conflitti di lavoro, dobbiamo allora garantire alla forza pubblica mezzi adeguati ma che non siano tali da provocare nocumento all’integrità fisica e alla vita delle persone. Questo episodio si iscrive nella storia tanto frequentemente punteggiata dalla tragedia e dal martirio, dalla lotta per il progresso dei lavoratori e della società. Ma noi dobbiamo fare in modo che tali sacrifici non debbano ripetersi. Assumo dinanzi a tutti solennemente l’impegno di fare, con netta determinazione, quanto è possibile fare per affermare in modo profondo i valori della giustizia e della libertà nei rapporti di lavoro e nelle condizioni dei lavoratori”.

Nell’aprile del 1969 a Battipaglia giunge la notizia dell’imminente chiusura di due grosse aziende della città: la manifattura dei tabacchi e lo zuccherificio. Per il 9 aprile viene indetto un corteo di protesta: già dalle prime ore del giorno, alcune centinaia di persone si radunano e, scortati da polizia e carabinieri, cominciano a muoversi in corteo al grido di ‘Difendiamo il nostro pane’ e ‘Basta con le promesse’. 

Nel tardo pomeriggio si arriva allo scontro decisivo: il corteo incanala la propria rabbia contro il commissariato di via Gramsci, dentro cui si sono asserragliati un centinaio di poliziotti e carabinieri che iniziano a sparare sulla folla, uccidendo Teresa Ricciardi, giovane insegnante che seguiva gli scontri dalla finestra della propria abitazione, e lo studente diciannovenne Carmine Citro. Moltissimi i feriti. Giacomo Brodolini, gravemente malato (morirà a breve), forza i tempi di approvazione della legge con una febbrile attività chiamando Gino Giugni a presiedere una Commissione con l’incarico di elaborare in tempi brevi la proposta da sottoporre alle organizzazioni sindacali.

Racconta ne La memoria di un riformista lo stesso Giugni: “Sembrava quasi aver fretta di portare a termine il suo compito. Riuscì a realizzare tre importanti obiettivi: la mediazione nella vertenza sulle cosiddette gabbie salariali, che favorì un accordo tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria sull’unificazione progressiva dei salari nel paese; una riforma delle pensioni che ancorando la pensione all’80% delle ultime retribuzioni ebbe effetti duraturi e venne modificata solo con Amato nel 1992”, e, da ultimo ma certamente non in ordine di importanza, lo Statuto dei lavoratori.

Intanto la Commissione lavoro del Senato prepara ed il Consiglio dei ministri approva il disegno di legge da presentare in Aula. L’11 dicembre il disegno di legge del Governo è approvato in prima lettura dal Senato. Votano a favore i partiti di centro-sinistra e i liberali, si astengono - con opposte motivazioni - Msi da una parte, Pci, Psiup e Sinistra Indipendente dall’altra. Il giorno dopo, 12 dicembre, esplodono le bombe alla Banca dell’Agricoltura a Milano: è la strage di Piazza Fontana. 

Il 14 maggio 1970 la Camera dei deputati, con 217 voti favorevoli, 10 contrari e 125 astenuti, approva definitivamente la legge nel testo del Senato. Il 20 maggio il testo è pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.