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Il 25 giugno scorso, il ministro del Lavoro Orlando ha firmato un decreto attuativo che dà vita a “un sistema di verifica della congruità dell’incidenza della manodopera impiegata nella realizzazione di lavori edili” nei cantieri italiani. Quel testo, in sostanza, recepisce quanto previsto dall’accordo del 10 settembre 2020 firmato dai sindacati del settore con le controparti, e fissa finalmente delle regole certe per quantificare gli operai necessari per portare a termine ogni singola lavorazione. Si tratta del tanto sospirato Durc di congruità. Aldilà degli aspetti più propriamente tecnici, è un passaggio decisivo per assicurare regolarità e legalità nell'edilizia italiana. Ne abbiamo parlato con Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea Cgil.
Come si è raggiunto questo risultato?
È il frutto di una lunghissima battaglia e di un percorso tortuoso. La Fillea ha iniziato a rivendicare questo strumento addirittura nei primi anni '90, ma cinque anni fa il Durc di congruità era ancora lettera morta. Venivamo da una una stagione in cui su questo fronte avevamo ben pochi alleati, e cercavamo quindi di difendere con le unghie e con i denti la congruità che era stata già ottenuta in Umbria grazie a una legge regionale. Poi, però, siamo riusciti a rilanciare la nostra rivendicazione grazie a un accordo con il commissario alla ricostruzione del Centro Italia (l'ordinanza del n. 78 del 2 agosto 2019 ndr), che introduceva il Durc di congruità per tutti i cantieri pubblici del cratere, e per quelli privati con importi complessivi pari o superiori ai 50.000 euro. Quell'esperienza ha ottenuto dei risultati notevoli, con l'emersione di oltre 200 milioni di euro di massa salariale. Poi c'è stato il primo Decreto semplificazioni (legge 120/2020 ndr) con cui abbiamo smantellato il 'mito' del cosiddetto “modello Genova” e introdotto il rinvio ad uno specifico decreto sulla congruità. Forti di questo riferimento normativo, abbiamo firmato gli accordi dell'11 dicembre e del 22 gennaio (dedicati alle tutele dei lavoratori nelle opere pubbliche, comprese quelle finanziare dal Recovery Plan ndr). L'accordo del 10 settembre 2020 con tutte le associazioni datoriali si colloca in questo percorso e voglio dare atto alle associazione di impresa che alla fine su regolarità e lotta al dumping contrattuale sono venute sulle nostre posizioni. Insomma, abbiamo creato un contesto normativo che ha permesso di ottenere questo grande risultato e l’azione negoziale ha fatto il resto.
Nel frattempo, c'è stato anche un accordo che riguarda gli appalti e i subappalti.
Un altro passaggio decisivo, in effetti. Perché dopo la crisi del governo Conte 2 è ripartita la nostra azione, che ha avuto un ulteriore accelerazione politica con l'articolo 49 del nuovo decreto Semplificazioni (decreto 77/21 ndr), in cui si sposta la questione dal tema “percentuale” al tema di come garantire tutele e diritti uguali, sia se lavori direttamente per l’affidatario o in subappalto. Insomma abbiamo reintrodotto l’articolo 3 della legge 1369 del 1960 abrogata da Sacconi nel 2003, con in più l’obbligo di applicare lo stesso contratto se si fa lo stesso lavoro. In questo contesto, quindi, la congruità diventa non solo uno strumento contro il lavoro irregolare, ma anche uno mezzo per controllare il sistema degli appalti. Oggi ci troviamo nella situazione in cui in tutti i cantieri pubblici d'Italia la congruità vale per qualsiasi appalto. Nel privato, per la ricostruzione del Centro Italia, resta fino ai 50.000 euro. Per tutti gli altri, invece, vale per importi pari o superiori ai 70.000. Visti i lavori che si stanno facendo con il Bonus facciate al 90% o con il Superbonus 110%, si tratta della gran parte dei cantieri italiani.
Quali risultati concreti c'è da aspettarsi?
Siamo molto ottimisti, perché la congruità è un potente strumento che si applica per tutti i lavori edili e di fatto difende anche i corretti perimetri del contratto nazionale e dell'allegato 10 del Testo Unico sulla sicurezza. Insieme alla norma sul subappalto, porterà all'emersione delle irregolarità e a un aumento della qualità del lavoro, e darà anche un duro colpo al dumping contrattuale.
In che modo?
Il decreto, in sostanza, ci dice che chi fa un lavoro edile deve avere il Durc di congruità. Ma per averlo deve applicare il contratto edile. A tutti i lavoratori edili bisognerà quindi applicare il contratto nazionale, e passare per la cassa edile. Questo non solo porterà a un'emersione delle irregolarità, ma permetterà anche di ricomporre l'intera filiera. Si limitano infatti anche i contratti pirata e tutti le “invasioni” improprie dei perimetri contrattuali borderline. Insomma, chiudiamo il cerchio sugli appalti pubblici e lo apriamo nel privato. La congruità porterà trasparenza, cantiere per cantiere. La cassa edile, che si conferma strumento imprescindibile, conoscerà ogni singola lavorazione e quanti operai sono impegnati, costringendo le aziende non serie a mettersi in regola. Il decreto porterà infine maggiore sicurezza. Perché da sempre nei cantieri la sicurezza, la regolarità e l'organizzazione del lavoro vanno a braccetto.
Tutto ciò, tra l'altro, accade in un periodo in cui stanno piombando sul settore molti fondi pubblici. Quali sono le prospettive per il futuro dell'edilizia?
È in arrivo una massa di finanziamenti imponente, che per i lavori pubblici e le grandi opere passa per il Pnnr e per il Fondo nazionale complementare, e che per i privati passa attraverso la quantità significativa dei bonus. Il quadro normativo che abbiamo contribuito a creare, quindi, sarà decisivo affinché il lavoro di qualità generi la qualificazione delle aziende, di tutto il comparto e delle lavorazioni che verranno svolte nei prossimi anni. Non parlo solo delle grandi opere, ma anche della manutenzione e della rigenerazione nel privato. D'altronde è questa la nostra politica industriale. Non è caso se questa filosofia sta anche alla base della nostra piattaforma per il rinnovo. Perché sulla qualità del lavoro si basa il futuro dell'intera edilizia italiana. Auspico che ora si apra un tavolo per la congruità anche negli appalti dei servizi e magari si estendano le norme sulla parità di trattamento economico e normativo anche negli appalti privati, a partire dalla logistica, ma non solo. E soprattutto che il governo, ora che si è trovato un punto di equilibrio, con la prossima legge delega sul codice non faccia rientrare dalla finestra quello che, insieme, abbiamo fatto uscire, a calcioni, dalla porta.