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“Le risorse ci sono, sicuramente. Ma sono invisibili, nascoste sotto altri titoli, spezzettate in mille rivoli. Nulla è esplicito. Un esempio? Il Piano riconosce ‘il ruolo fondamentale e il carattere strategico della siderurgia’, si parla di sei miliardi di euro destinati al settore. Ma nella bozza iniziale si citava l’Ilva, ora non se ne fa più menzione. Insomma, per l’industria il Pnrr lascia coperte tutte le carte”. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza varato dal Governo Draghi, in effetti, l’industria sembra la grande assente. “A un recente incontro con i sindacati europei – spiega la segretaria generale della Fiom Cgil Francesca Re David – ho scoperto che negli altri Paesi ci sono tavoli aperti sull’industria in tutti i comparti: si sa dove e come si spenderanno i soldi, si conoscono priorità e obiettivi. Ecco, da noi questo non c’è”.
Disattenzione, chiamiamola così. Come la spieghi?
In Italia manca totalmente ogni idea di politica industriale, ed è una scelta non casuale. Negli ultimi 20 anni si è deciso di affidare l’industria al mercato mediante interventi sul lavoro che hanno condotto alla sua precarizzazione, con alcuni picchi come, ad esempio, il Jobs act. I governi degli ultimi decenni hanno usato la precarizzazione come strumento di politica industriale. La crisi del 2007-2008, e ora la pandemia, hanno però svelato la fragilità di questo sistema che, assieme all’indebolimento dello stato sociale (dalle pensioni alla scuola, dalla sanità agli ispettori del lavoro), ci ha portato a un impoverimento generale, che ha ovvi riflessi anche sull’industria.
Il Pnrr, almeno nelle sue intenzioni, dovrebbe però intervenire proprio su questo, rafforzando quindi le fragilità.
Nel Pnrr si parla di innovazione, digitalizzazione, transizione energetica, tutti temi che impattano sulla metalmeccanica. Ma questi interventi non sono resi trasparenti nella stesura del Piano. La nostra è un’opera di ‘deduzione’, nel senso che possiamo ‘dedurre’ il valore degli interventi osservando i movimenti delle aziende: Leonardo si sta concentrando sulla cybersecurity, Fincantieri si allarga all’elettronica e alle aziende specializzate nella costruzione di ponti, ospedali e scuole, Stmicroelectronics sta aumentando la propria capacità produttiva. I soldi ci sono, lo ripeto, ma il governo parla solo con alcune grandi imprese, di certo non con i sindacati.
Investimenti si annunciano in infrastrutture satellitari e, più in generale, nella space economy e nelle tecnologie emergenti. Secondo il Pnrr, quest’immissione di risorse “porterà a un aumento di circa il 20% degli addetti dello spazio in Italia”.
Nel Piano si parla di aerospazio e di tecnologia satellitare, ma sono investimenti che andranno accompagnati dal rafforzamento delle alleanze internazionali, da iniziative strategiche europee, da una politica allineata alle priorità comunitarie. Non vedo, però, alcuna riflessione sul tema delle aerostrutture collegate all’aviazione civile. Noi abbiamo fabbriche importanti del settore, tra l’altro tutte nel Mezzogiorno, dove si realizzano componenti essenziali dei Boeing o dell’Airbus, ma la ripresa del traffico aereo è ancora di là da venire, cambierà comunque il nostro modo di viaggiare. Le aziende si stanno riorganizzando, Leonardo annuncia circa mille esuberi, nel Sud si rischia una vera e propria emorragia di posti di lavoro.
Altro tema importante del Pnrr sono le infrastrutture, cui è dedicata la Missione 3. Quali ricadute possono esserci per la metalmeccanica?
Prendiamo il comparto ferroviario. Il Piano si pone l’obiettivo di estendere l’alta velocità, di potenziare la rete regionale, di rinnovare la flotta del materiale rotabile. Suppongo, per essere chiari, che questo comporti dare lavoro a Piombino dove si costruiscono i binari, dare lavoro a chi produce gli acciai speciali. Ma nel merito non si entra, non si sa nulla. Ma sulle infrastrutture va fatta un’osservazione di carattere generale.
Quale osservazione?
Le infrastrutture sono l’unico intervento previsto per il Mezzogiorno. Ma se si pensa che servano al turismo, va detto chiaramente che il turismo non crea occupazione stabile. Il Piano rischia di provocare nel Sud Italia un processo di deindustrializzazione importante. Basta guardare il settore dell’elettrodomestico: sta andando benissimo, eppure Whirlpool chiude lo stabilimento di Napoli. Non si salva un Paese abbandonando le aziende in crisi e assecondando le strategie delle multinazionali: anche su questo, il Piano resta in silenzio.
In conclusione: quale ti sembra essere la filosofia del Pnrr?
Siamo sempre nella vecchia logica degli incentivi alle imprese e del mercato regolatore dell’economia. Con un limite ulteriore: queste risorse, che è bene ricordare essere ‘pubbliche’, dovrebbero avere condizionalità ambientali e occupazionali, che invece non ci sono. Manca, inoltre, la prima enorme condizionalità: quella della sicurezza sul lavoro. È incredibile che si possa ancora usare la parola ‘incidenti’: non si può più parlare di incidenti sul lavoro. Servono investimenti per le lavoratrici e i lavoratori che garantiscano la loro sicurezza. Negli ultimi vent'anni il lavoro è stato visto più come un costo che come una risorsa. Le risorse per l’innovazione che vengono date alle aziende anche attraverso il Pnrr devono essere vincolate all’adozione di misure sulla sicurezza attraverso le tecnologie 4.0 più avanzate e a una corretta organizzazione del lavoro. E nella catena degli appalti è ancora peggio, perché si lavora sotto la costante pressione dei costi e dei tempi e si cancellano regole e diritti. La messa in sicurezza degli impianti industriali dovrebbe essere una voce centrale del Piano, ma anche di questo non v’è traccia.