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A luglio 2022 diminuisce il numero totale degli occupati. Il calo non è grande (-22 mila persone) ma significativo in un mese in cui la forte attività stagionale dovrebbe produrre un aumento degli occupati.
Normalmente i dati dei mesi estivi sono positivi se alla crescita dei lavoratori stagionali non si contrappone un calo dei dipendenti stabili, cosa che invece è accaduta ed è alla base di questo risultato negativo. I dipendenti permanenti calano infatti di -24 mila unità, mentre quelli a termine aumentano di +13 mila. E anche gli indipendenti calano di -11 mila.
È prematuro ragionare se si tratti dei primi segnali di calo occupazionale, dovuti alla contrazione di attività per l’aumento dei prezzi, che molti prevedono. Resta il fatto che si tratta di un inaspettato dato negativo e del contemporaneo rafforzarsi di alcune delle tendenze più negative e pericolose del mercato del lavoro italiano.
I dipendenti a termine, mese dopo mese, superano ogni precedente record. A luglio sono 3,2 milioni, il dato più alto dal 1977 e rappresentano il 17,4 per cento del totale dei dipendenti.
L’occupazione continua a invecchiare, l’unica fascia di età in aumento nel mese di luglio è quella degli over 50 che supera la barriera dei 9 milioni di persone (9,1 milioni), si tratta ormai di quasi il 40 per cento del totale degli occupati.
Continua a soffrire l’occupazione tra i 35/49 anni; nel corso dell’ultimo anno cala sia su base annuale che trimestrale, oltre che mensile.
Il tasso di disoccupazione fra i più giovani (15-24 anni) ritorna al 24 per cento.
Cala solo l’occupazione femminile (-33 mila); su oltre 23 milioni di occupati le donne restano sotto la soglia dei 10 milioni, con un tasso di occupazione oltre 18 punti percentuali in meno rispetto a quello maschile.
Tornano a salire gli inattivi, quel vaso comunicante che da anni denunciamo con la disoccupazione. Anche questa volta il dato è evidente: -22 mila occupati, - 32 mila disoccupati, +54 mila inattivi. L’Italia consolida così il suo triste primato europeo sull’inattività.
Non è possibile, solo sulla base dei dati odierni, quantificare il bacino di lavoro povero (coi tempi determinati vanno almeno considerati i part-time involontari e un eccesso di inquadramenti nelle basse qualifiche) che però in tutta evidenza aumenta confermando che l’aumento del Pil (+3,5 per cento finora già acquisito su base annua) ha scarso effetto positivo sulla quantità e soprattutto sulla qualità del lavoro e confermando invece che per una quota consistente è in modo inaccettabile legato a troppo lavoro instabile e basse retribuzioni.
Di questi temi nella campagna elettorale in corso si parla molto poco, se non per slogan generali come “è al massimo il tasso di occupazione”, senza rendersi conto che si tratta prevalentemente di un effetto ottico dovuto al calo demografico, in particolare di quello delle persone in età di lavoro.
Per questo intendiamo contribuire al tentativo di fare chiarezza sul tema della condizione del lavoro in Italia, con un’analisi più dettagliata che sarà prodotta dalla Fondazione Di Vittorio nei prossimi giorni.
Fulvio Fammoni, presidente Fondazione Di Vittorio