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Lo sciopero in Italia è un diritto di tutti: al contrario di ciò che pensa il governo, non può essere messo in discussione. Nei giorni successivi allo sciopero generale di Cgil e Uil del 29 novembre, dunque, abbiamo chiesto una riflessione alla politologa Nadia Urbinati, per contribuire a fare chiarezza sulla realtà della situazione, superando pregiudizi ideologici e luoghi comuni.
Nadia Urbinati, lei ha già proposto una riflessione sulle pagine del quotidiano Domani. Vogliamo tornarci sopra partendo da una domanda alla base: cos’è il diritto di sciopero?
Il diritto di sciopero è un diritto della modernità, perché è conseguente al lavoro salariato: presuppone il lavoro come una merce e quindi in una relazione contrattuale non come servitù. I contratti di solito si stipulano tra parti uguali, ma non è questo il caso: qui, il datore e il lavoratore non hanno lo stesso potere contrattuale; per questo, a partire dall’Ottocento lo sciopero è diventato una questione rilevante proprio per i liberali.
Come si garantisce il riequilibrio tra datore e lavoratore?
Bisogna dare al singolo la potenza del numero. Chi lavora per un salario diventa forte se si associa per avere potere contrattuale: mettere un veto, come per esempio interrompere il lavoro con l’obiettivo di arrivare al rinnovo del contratto o a riaprire una trattativa per firmare un nuovo contratto.
Quindi non è un diritto come gli altri…
Si tratta di un diritto sui generis: al contrario dei diritti civili classici, esso nasce dall'idea che non siamo tutti uguali in potere economico; lo sciopero serve a stabilire un riequilibrio delle forze e quindi a garantire un potere negoziale. Si tratta di una logica simile a quella delle costituzioni, le quali puntano sulla divisione e l'equilibrio dei poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario: divide et impera. Lo scopo è impedire il monopolio e l’arbitrio che ne deriva, mediante la strategia del controbilanciamento delle forze in campo.
Come si risponde a chi dice che lo sciopero è un disturbo?
Lo sciopero vuole disturbare. Lo sciopero crea una condizione di disagio per portare all’opinione la conoscenza di un disagio: il disagio degli operai, che diversamente resterebbe sconosciuto al pubblico. Certo, lo sciopero è diverso nel pubblico e nel privato: i lavoratori pubblici hanno come contraente lo Stato (anche se stessi, dunque) non il profitto dei privati e per questo nei settori pubblici lo sciopero viene regolato molto attentamente affinché i servizi non siano completamente interrotti. Nel privato è diverso, sono lecite anche lotte radicali e astensioni dal lavoro molto lunghe.
In tal senso come giudica la posizione del governo?
L’esecutivo vorrebbe farci credere che i diritti come quello di sciopero non sono di tutti, ma soltanto di chi si oppone al governo. Non è così. Lo sciopero è un diritto di tutti, non di una pare. In altri termini, ognuno può porsi in opposizione di quel che dice e fa un governo: è parte del diritto di critica, non si può identificare con alcuna parte. Far credere questo è particolarmente grave, perché non dice che la democrazia è fondata sui diritti e garantisce a ciascuno di noi il diritto di dire no, anche a Meloni e Salvini. I quali, se domani diventassero opposizione, non rivendicherebbero forse il diritto di opporsi? Chi ci governa sembra non avere alcuna visione dello stato di diritto e della politica dei diritti.
In questo scenario si inserisce il ruolo del sindacato.
Il sindacato oggi deve confrontare la pervasiva propaganda che fa il governo sul “disturbo” causato dagli scioperi. Allora, occorre chiarire insistentemente che il diritto di sciopero e di mobilitazione sono per ottenere un bene che avvantaggia tutti. Come diceva Giuseppe Di Vittorio, lo sciopero non è un diritto di alcuni ma di tutti e tutte. Se si riesce a conquistare un salario più alto ciò è un bene anche per la dinamica del mercato: si consuma di più e si crea più opportunità di lavoro, in un circolo virtuoso. Infine, a mio modesto parere, è importante il tema dell’unità sindacale, che è stata faticosamente costruita negli anni Settanta e Ottanta. Cgil e Uil hanno proclamato lo sciopero generale; è necessario capire perché la Cisl se ne tira fuori e che cosa si può fare per ricucire quell'unità. Si dovrebbe discutere pubblicamente con la dirigenza Cisl perché si capisca, noi tutti capiamo, perché hanno interrotto l’unità.