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Colpiscono e preoccupano i dati presentati dalla Confcommercio in occasione della propria Giornata nazionale “Legalità, ci piace”.
Secondo l’indagine presentata, l’illegalità è costata alle imprese del commercio e dei pubblici esercizi 36,8 miliardi di euro e ha messo a rischio 268 mila posti di lavoro.
I dati presentati confermano le rilevazioni Istat, relativamente al 2021 (ultimo dato disponibile): le componenti dell’economia non osservata sono allarmanti, con un valore economico superiore ai 173 miliardi di euro, di cui oltre 68 miliardi da lavoro irregolare e oltre 18 da attività illegali.
Per quanto riguarda il lavoro siamo di fronte a un tasso di irregolarità pari al 12,7%, i settori maggiormente esposti sono: servizi alle persone con un tasso di irregolarità del 42,6%; agricoltura, avicoltura e pesca 16,8%; costruzioni 13,3%; commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasposti e magazzinaggio, alloggio e ristorazione 12,7%.
Non sorprende che queste percentuali siano assolutamente in linea (fonte Anbsc) con i dati sui beni sequestrati/confiscati.
Nel 2021, erano 2 milioni e 990 mila le unità di lavoro a tempo pieno in condizione di non regolarità; occupate in prevalenza come dipendenti, circa 2 milioni e 177 mila. Siamo, quindi, in presenza di un fenomeno vastissimo, con gravi ripercussioni economiche e sociali, ma anche di scorretta concorrenza fra imprese legali e illegali. Sono milioni le lavoratrici e i lavoratori in una condizione di illegalità, caratterizzata da bassi salari, ricattabilità, negazione dei diritti, rischi per la salute e sicurezza.
Vi sono aspetti culturali da prendere in considerazione. Un pezzo rilevante dell’imprenditoria del paese, caratterizzata soprattutto in alcuni settori da microimprese, ritiene che il lavoro irregolare e una tendenza a evadere ed eludere il fisco, la mancata contribuzione, il non rispetto delle norme di sicurezza, sia un fatto quasi scontato e da accettare. D'altronde, cosa ci si può aspettare se la presidente del Consiglio definisce “pizzo di Stato” le tasse?
Occorre tener sempre presente che in questa zona grigia si muovono con grande capacità di infiltrazione criminalità organizzata e mafie, le quali, grazie alle ingentissime risorse accumulate attraverso i traffici illeciti, tengono sotto scacco tantissime imprese attraverso usura, racket ed estorsioni.
L’obiettivo delle mafie è sempre quello, l’arricchimento illecito e il controllo sociale del territorio, a cui, invece, noi dobbiamo contrapporre legalità e il controllo democratico.
Vi è quindi la necessità, e su questo intendiamo come Cgil proseguire la mobilitazione che abbiamo avviato il 29 aprile scorso a Palermo, in occasione dell’Assemblea nazionale contro mafia e corruzione, di riaffermare la legalità quale elemento cardine per garantire la libera concorrenza fra le imprese, la buona economia, la qualità del lavoro.
In questo quadro così complicato i fenomeni di precarizzazione del lavoro, di liberalizzazione dei meccanismi di appalto, l’indebolimento delle tutele contro i licenziamenti illegittimi, hanno sicuramente favorito un modello di sviluppo basato su bassi salari, compressione dei diritti e della libertà di lavoratrici e lavoratori e della loro sicurezza.
Inoltre, si è favorito un modello di impresa che non compete sulla base della qualità bensì su dinamiche di sfruttamento ed evasione fiscale con grave svantaggio per la buona, a tutto vantaggio dell’infiltrazione criminale.
Per le ragioni che ho cercato di argomentare, seppur brevemente, la scelta di proporre 4 referendum abrogativi da parte della Cgil, avviando la campagna di raccolta firme, è una scelta che contrasta l’illegalità e le mafie. Il lavoro, quello con i diritti, a tempo indeterminato, la sicurezza negli appalti sono sicuramente un argine formidabile per le organizzazioni criminali e mafiose.
Nell’impresa mafiosa il lavoratore non è libero, se si garantisce la libertà del lavoro si combatte la mafia.
Alessio Festi, responsabile Legalità della Cgil nazionale