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Lo hanno licenziato per 'rappresaglia', accusandolo ingiustamente di aver minacciato un proprio superiore con il coltello. Era tutto falso e adesso l’azienda, una cooperativa campana che fornisce manodopera a una ditta del comparto carni che opera nella Piana Rotaliana, nel Trentino, dovrà reintegrare il lavoratore. E’ quanto ha stabilito il giudice Giorgio Flaim, del Tribunale di Trento, condannando la società per licenziamento 'ritorsivo e discriminatorio'.
Il giudice ha anche accertato che l’azienda ha messo in atto questa falsa accusa e il conseguente licenziamento per punire il lavoratore, colpevole dal loro punto di vista di essersi rivolto al sindacato, la Flai Cgil del Trentino, denunciando pagamenti mancanti, ferie e permessi non goduti. Il sindacato ha preteso dall’azienda il rispetto del contratto e a fronte del licenziamento, appoggiati dall’ufficio vertenze della Cgil del Trentino e dall’avvocato Giovanni Guarini, ha fatto ricorso contro il licenziamento.
“Questo processo ha permesso di alzare il velo in un settore dove si nascondono ampie sacche di sfruttamento e situazioni di irregolarità – commenta la segretaria generale di categoria, Elisa Cattani, che ha seguito passo passo il lavoratore -. Dobbiamo ringraziare il coraggio di questo lavoratore, che nonostante le pressioni e le intimidazioni, si è battuto per il rispetto dei suoi diritti. Purtroppo però questa non è una storia isolata. Ci sono segmenti del comparto in cui c’è una situazione allarmante. I lavoratori, spesso persone straniere che parlano a fatica l’italiano con permessi di soggiorno legati all’asilo politico e che vivono una situazione di bisogno economico forte, sono assunti tramite appalti da ditte terze che non rispettano i contratti, approfittano della loro debolezza e spesso ne calpestano la dignità” e i diritti”
I fatti risalgono a febbraio dell’anno scorso. Il lavoratore, un cittadino centro-africano, si è rivolto alla Flai denunciando un trattamento scorretto. Il sindacato ha accertato che l’azienda operava trattenute a vario titolo, ad esempio a titolo di rimborso spese del lavoratore al datore di lavoro, inseriva somme a titolo di permessi e ferie godute, mai fruiti dal lavoratore, non venivano riconosciuti gli straordinari. L’intervento della sindacalista ha suscitato una pessima reazione nel responsabile per parte datoriale che ha rifiutato ogni confronto. E’ scattato, poi, il licenziamento sulla base di un accusa totalmente falsa.
“I fatti accaduti sono gravissimi, ma è ancora più grave l’aver scoperto durante l’istruttoria del processo che non si trattava di un caso isolato - prosegue la dirigente sindacale -. Anche altri lavoratori subivano un trattamento ingiusto con una violazione costante dei diritti contrattuali”.
In un altro caso, infatti, quello di un operaio sempre africano, questi era inquadrato come 'facchino' e non come 'macellaio'. Una scelta che permetteva all’azienda di pagarlo meno; inoltre non gli venivano pagati gli straordinari. Anche per lui l’azienda era pronta a mettere in atto la falsa accusa della minaccia con il coltello visto che dopo le sue lamentele un suo superiore gerarchico lo aveva redarguito che non appena avesse preso in mano il coltello, lui avrebbe chiamato i Carabinieri. Solo a seguito dell'intervento del sindacato il datore di lavoro ha riconosciuto i diritti contrattuali del lavoratore.
“Oggi siamo sicuramente soddisfatti per una sentenza che ristabilisce un minimo senso di giustizia. Siamo anche consapevoli, però, che c’è ancora molto da fare e, per quanto ci riguarda, dedicheremo uno sforzo particolare per sostenere i lavoratori di questo settore per far emergere situazioni di sfruttamento ed eventuali forme di caporalato”, conclude la sindacalista.