PHOTO
Questa è la storia di un operaio, che per molti anni ha dedicato la sua vita al lavoro e all'azienda di cui è dipendente. Lo ha fatto perché andava bene così e se c'era da fare qualche sacrificio, qualche ora in più, se c'era da farsi il culo insomma, nessun problema. Poi, come accade spesso nella vita, sono arrivati dei cambiamenti. Una compagna con cui costruire un futuro insieme, un mutuo per la casa da pagare, sogni, progetti e anche una bambina, che oggi ha poco più di 3 anni.
Il lavoratore lo chiameremo Nicola, ma non è il suo vero nome. Perché lui si sente più tranquillo così, essendo ancora dentro una causa con l'azienda che lo ha licenziato in tronco il 29 dicembre del 2022. Un licenziamento di capodanno. Un licenziamento arrivato dopo aver messo Nicola sotto sorveglianza, pedinato per alcuni giorni da un investigatore privato. Perché questo padre-lavoratore aveva avuto l'ardire di chiedere un congedo parentale. Una cosa, evidentemente, considerata ancora insolita per un maschio, in Italia. Parliamo tra l'altro di poche ore al mese, giusto tre mezze giornate, un po' di tempo per poter accudire la bambina e dare una mano a casa, consentendo alla compagna di riprendere il suo lavoro di infermiera e magari di ottenere anche un posto fisso, che di questi tempi è cosa rara.
Lui non sapeva di essere seguito e fotografato mentre la mattina usciva con la piccola per portarla all'asilo e poi riprenderla e nel mezzo fare la spesa e poi rientrare a casa per i pulire i bagni, perché i bagni “non si puliscono da soli”. Anche se qualcuno può pensare che sia strano che a farlo sia un uomo, in realtà non c'è niente di strano, anche questo rientra nei compiti di un padre, come di una madre.
Fatto sta che a inizio dicembre Nicola si vede recapitare una raccomandata che contiene una contestazione formale da parte dell'azienda. Qui apprende di essere stato pedinato e che, secondo i suoi datori di lavoro, ha violato le regole del congedo parentale. È stato “pizzicato” a fare la spesa, mentre la bimba era all'asilo. Si è persino fermato al bar per un caffè. E poi tutto quel tempo passato a casa… Insomma, non ci siamo: l'azienda apre un procedimento disciplinare e comunica che il lavoratore può, se vuole, “presentare scritti difensivi o chiedere l'assistenza di un rappresentante sindacale”.
Qui entra in gioco la Cgil. Nicola, allarmato dal contenuto della raccomandata, si reca presso la più vicina Camera del Lavoro e da qui viene indirizzato alla sua categoria di appartenenza, la Filcams Cgil. “Quando l'ho incontrato la prima volta l'ho subito rassicurato perché mi pareva una contestazione totalmente priva di fondamento – spiega Massimiliano Cofani, il funzionario sindacale della Filcams Cgil di Perugia che ha seguito la vertenza – ma in realtà quanto abbiamo chiesto un incontro all'azienda per rispondere, ci siamo ritrovati davanti i titolari, assistiti da un legale. Lì abbiamo capito che non si sarebbero fermati a quella contestazione, ma che c'era la volontà di colpire il lavoratore”.
Nell'incontro con l'azienda, in ogni caso, la Cgil ribadisce la piena legittimità del comportamento di Nicola e chiede la chiusura immediata del procedimento disciplinare, senza conseguenze. Le cose però vanno diversamente. “Subito dopo quel confronto Nicola è stato sospeso dall'azienda, la vigilia di Natale – continua Cofani – e poi, giusto prima di capodanno, licenziato in tronco per giusta causa. A quel punto abbiamo deciso ovviamente di impugnare il licenziamento e ci siamo rivolti alla legale all’epoca convenzionata”.
Lei si chiama Nunzia Parra ed è un'avvocata specializzata in diritto del lavoro. La prima cosa che evidenzia in questa vicenda è che l'operaio “viene sospeso subito dopo aver presentato le proprie difese in presenza del sindacato di fiducia”. La seconda è che in Italia “c'è un enorme problema di conciliazione vita-lavoro”, tanto che, nel solo 2023, 44mila donne si sono dimesse per l'estrema difficoltà di tenere insieme la loro occupazione con il carico di lavoro familiare (non retribuito).
Solo che Nicola non è una donna, è un uomo. E forse proprio qui sta il problema: se nella stessa situazione si fosse trovata una lavoratrice, chissà se l'azienda si sarebbe comportata allo stesso modo. Perché in Italia, lo sappiamo, una cosa è fare la mamma e un'altra è fare il papà. “Nel nostro Paese c'è indubbiamente un problema di carattere culturale – continua l'avvocata Parra - molti uomini sono reticenti nella fruizione del congedo parentale, a causa degli incentivi limitati volti a far sì che gli stessi condividano equamente le responsabilità di assistenza, lasciando di fatto tutto il peso del lavoro di cura sulle spalle delle donne”.
Ma questo squilibrio non piace all'Europa, che è infatti intervenuta nel 2019 con la direttiva sul work-life balance, finalizzata proprio al raggiungimento della parità di genere tra i genitori e all’equa ripartizione delle responsabilità di assistenza familiare, una legislazione poi recepita dall'Italia nel 2022. E proprio sulla base delle norme previste a tutela e sostegno della maternità e della paternità, il giudice del lavoro, Giampaolo Cervelli, sul caso di Nicola ha emesso nei giorni scorsi una sentenza destinata a fare giurisprudenza.
Non solo ha condannato l'azienda al reintegro del lavoratore e al pagamento di tutte le mensilità arretrate, compresi i contributi, ma, basandosi proprio sulle foto e le ricostruzioni dell'investigatore privato assunto dall'azienda, ha specificato che il congedo parentale è stato usato da Nicola in modo corretto, ossia per far fronte “alle incombenze necessarie per la cura della famiglia e della prole, come quelle del riassetto della casa e della preparazione dei pasti, anche nella prospettiva di un’agevolazione della madre per la ripresa dell’attività di lavoro”.
Ora l'azienda dovrà decidere se ricorrere in appello, sapendo però che, in caso di un'altra sentenza sfavorevole, dovrà continuare a pagare gli stipendi del lavoratore ingiustamente licenziato fino all'effettivo reintegro. Nicola, da parte sua, spera che si faccia in fretta. Intanto si gode sua figlia: “L'ultimo anno – dice – è stato terribile, tra licenziamento, processo e difficoltà economiche. Ma al tempo stesso è stato bellissimo, perché ho scoperto cosa significa avere più tempo per stare con mia figlia”.