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Secondo l’Istat sono 3 milioni gli occupati a termine in Italia e sono impiegati in tutti i settori, nel privato come nel pubblico, al Nord come al Sud e al Centro. “Numeri importanti che purtroppo vengono considerati fisiologici ma che invece richiedono un cambio dell’attuale assetto, come domandiamo da tempo”, commenta la segretaria confederale della Cgil Maria Grazia Gabrielli nel lanciare la campagna social “La precarietà ha troppe facce. Combattiamola insieme”, promossa dalla confederazione e dalle sue categorie.
Basta guardarli nel dettaglio. Secondo le rilevazioni Inps per il settore privato, la retribuzione media annua di una persone con contratto a tempo determinato è di 10.400 euro, il numero di giornate retribuite 155, pari a circa 6 mesi. Sono soprattutto giovani under 35 (il 48,9 per cento), più uomini che donne (52,4 contro 47,6), tra i settori spiccano noleggio, agenzie di viaggio, supporto alle imprese (21 per cento) e alloggio e ristorazione (15 per cento).
Ma è nel pubblico che i numeri colpiscono: oltre 500 mila dipendenti a termine, di cui più di 100 mila nella pubblica amministrazione, dalla sanità alle funzioni locali, 205 mila docenti nella scuola, altri 200 mila lavoratori del settore della conoscenza (scuola, ricerca, università alta formazione).
“Questi dati chiamano in causa l’arretramento degli investimenti nel sistema pubblico degli ultimi decenni – aggiunge Gabrielli -. Impoverendo la qualità dell’offerta e asciugando sempre di più gli organici, si sono impoveriti anche i servizi ai cittadini. La nostra Costituzione sancisce il diritto alla cura e alla salute, alla scuola e all’istruzione, per poterli garantire è necessario un grande piano di investimenti e di assunzioni, come hanno chiesto più volte i settori di rappresentanza dei lavoratori: se non investiamo sulle persone, il diritto alla scuola, all’istruzione, alla salute e alla cura sarà ancora di più messo in discussione e si aggraverà ulteriormente il divario che già oggi registriamo”.
La precarietà ha davvero troppe facce, perché rende povere le persone e svuota i servizi per cittadini. Sono in molti a non curarsi perché non trovano risposte di presa in carico nel pubblico ma non hanno le condizioni economiche per accedere al sistema privato, c’è un’ampia platea di giovani che ha smesso di studiare, sui quali lo Stato non investe, mentre c’è una fetta di popolazione che per crescere e trovare il suo spazio decide di andarsene da questo Paese. Anche per questo la precarietà va combattuta.