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45 giorni di presidio ininterrotto. 45 giorni d’inverno, il più rigido che si ricordi nel lecchese dal 1985. 45 giorni a riscaldarsi con la legna che brucia in un bidone davanti ai cancelli della Voss e con la solidarietà stupefacente che un pugno di operai ha raccolto, con la sua storia e la capacità del sindacato di organizzare la lotta. Singole persone, associazioni, istituzioni, artisti, cittadini e colleghi che, sfidando persino le restrizioni della zona rossa, hanno fatto la spola con il picchetto. Pranzi, cene, calore umano e thermos di caffè, cornetti caldi e messaggi di sostegno, curiosità e richiesta di informazioni. Non li hanno lasciati soli un attimo, questi 70 lavoratori, diventati 53 nel corso della battaglia, perché chi ha potuto, comprensibilmente, è andato altrove.
Una vicenda partita in salita, quella della vertenza in questa fabbrica di raccorderia che produce elementi di raccordo per condotte e tubazioni. “Partita in salita è un eufemismo – ci risponde Maurizio Oreggia, segretario generale della Fiom di Lecco, che non riesce a contenere l’entusiasmo nel tono della voce –. La multinazionale a inizio dicembre aveva annunciato semplicemente la chiusura e il licenziamento. Ma i lavoratori hanno reagito e con la loro tenacia sono riusciti a conquistare l’attenzione e il cuore dell’opinione pubblica. Sono stati così bravi a resistere e a non darsi per vinti che alla fine l’accordo firmato ieri ha ribaltato completamente la situazione”. Con il sindacato al fianco, il lavoro organizzato riesce a buttar giù Golia. Una battaglia d’altri tempi, in cui riecheggia il vecchio, leggendario slogan, resisteremo un minuto in più del padrone.
Che c’è scritto nell’accordo? “L’accordo, approvato dai lavoratori che ne hanno seguito tutti gli sviluppi passo passo, impegna l’azienda a mettere in campo tutti gli strumenti che possano garantire un reddito ai dipendenti, mentre si cerca una soluzione di prospettiva. La cassa covid e l’eventuale rinnovo, se si risolverà la crisi politica e ci sarà una proroga. Un accordo quadro per seguire un percorso dove c’è l’impegno a utilizzare tutti gli ammortizzatori a disposizione: cassa covid, cassa straordinaria per tutto il tempo che sia possibile. Certo, c’è un interrogativo relativo alla possibilità che il quadro normativo cambi. Il tema della riforma degli ammortizzatori sociali si percepiva e quindi stabilire un percorso lungo lascia delle incognite. La parola licenziamento collettivo appare solo laddove si dice che l’azienda si impegna formalmente a non farne. In più metteremo in campo tutti gli strumenti offerti da Regione Lombardia e dall’unità di crisi della provincia di Lecco, al fine di riqualificare i lavoratori e accrescerne la professionalità. Massima attenzione a eventuali soggetti interessati a rilevare lo stabilimento o parte della produzione. Insomma, l’accordo ha un solo obiettivo: salvare il lavoro e garantire continuità ai livelli occupazionali. Un bel passo avanti rispetto alla premessa: chiudiamo e licenziamo tutti”.
Sembra una favola a lieto fine. Qual è la morale o almeno il punto su cui riflettere? “I temi fondamentali – ci risponde Maurizio Oreggia – sono due. Il primo è che non tutto è ineluttabile. Anche quando lo annuncia, non è detto che una multinazionale riesca a imporre ciò che vuole. All’inizio sembrava impossibile un accordo di questo tipo. La lotta paga, mettersi in gioco per modificare gli eventi è fondamentale. I lavoratori organizzati dal sindacato possono farcela. Dove succedono queste cose e non c’è il sindacato purtroppo si chiude. Il secondo tema è l’assenza di normative che limitino lo strapotere delle multinazionali. Normative che dovrebbero essere continentali, a livello di Unione Europea. Non puoi permettere la competizione al ribasso nella Ue, l’assenza di vincoli, il concetto che i grandi gruppi possano andare dove vogliono e fare sempre i loro comodi”.