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Assunta Cestaro è un’avvocata da sempre impegnata su due fronti: quello della tutela delle donne e quello della tutela di lavoratori e lavoratrici. È la responsabile dello sportello antidiscriminazioni della Camera del Lavoro di Roma. Ed è anche la memoria storica di come è cambiato il nostro Paese negli ultimi quarant’anni. Basti pensare, ricorda, che l’articolo dello Statuto dei lavoratori che vietava le discriminazioni non menzionava quelle per sesso o genere. Bisogna aspettare altri cinque-sei anni prima di modificare quell’articolo. Oggi, per fortuna, le norme sono assai migliorate ma il contrasto alle discriminazioni e alla violenza contro le donne è ancora difficile. La vera svolta, ricorda, è arrivata nel pieno degli anni 2000 quanto l’Unione europea sancì che le molestie luoghi di lavoro sono vere e proprie discriminazioni.
Cestaro, quali sono le forme di violenza nei confronti delle donne che più frequentemente incontri nel tuo lavoro di avvocata?
Nel corso degli anni le forme di violenze sono cambiate, forse si sono moltiplicate. Se negli anni ‘90 erano più frequenti quelle a carattere sessuale e legate alla propria condizione, dalla firma delle dimissioni in bianco da consegnare al datore di lavoro che le usava in caso di gravidanza, al licenziamento che arrivava poco dopo il matrimonio. Oggi la violenza è anche legata all’estrema precarizzazione del lavoro femminile. Contratti a termine che possono essere rinnovati senza limiti, part-time involontario, disparità salariale pongono le lavoratrici in una condizione di grande ricattabilità e quindi sono costrette ad accettare condizioni e organizzazione del lavoro. Ovviamente, molestie e ricatti di tipo sessuale purtroppo ci sono ancora.
È cambiata e si è moltiplicata la natura delle violenze, dicevi. E dal punto di vista delle norme?
Innanzitutto occorre tenere presente che le molestie, allora come oggi, non vanno ascritte alla sfera passionale ma a quella del potere e della violenza come strumento per esercitarla. Dal punto di vista giuridico però questa consapevolezza non sempre c’era, non sempre si è tradotta in norme. La norma antidiscriminatoria contenuta nello Statuto dei lavorati, ad esempio, vietava le discriminazioni per credo politico o sindacale ma non per sesso: c’è voluta l’esplosione del movimento delle donne per fare una legge che integrasse lo Statuto. Arrivò non a caso nel 1976. Rispetto alle molestie l’Europa nel ‘90-91 raccomandò di intervenire per sanzionarle, ma appunto erano raccomandazioni non vincolanti per gli Stati membri. Quando negli anni 2000 la Ue emanò delle direttive, l’Italia ci mise due-tre anni per recepirle. Ricordo che per la prima causa che patrocinai su questo, credo che la sentenza fosse del ‘96, non esisteva nessuna norma che io potessi utilizzare specifica sulle molestie quindi utilizzai la definizione di molestia che c'era nella raccomandazione, cioè un comportamento indesiderato a sfondo sessuale eccetera eccetera. La vittima subì molestie dal proprio datore di lavoro donna, un imprenditore di un’azienda con circa 18 dipendenti. La giudice, una donna davvero brava, per costruire la sentenza utilizzò per la prima volta uno strumento che non era vincolante invertendo l’onere della prova. Oggi l’inversione dell’onere della prova è la regola, allora era davvero una novità anche coraggiosa.
Le forme di violenza, però, sono tante…
Sì, bisogna saperle riconoscere e accogliere. Recentemente mi è capitato il caso di una lavoratrice domestica madre di una bambina, che si era rivola a un centro anti-violenza perché maltrattata. In attesa di trovarle un posto in una struttura protetta le è stato consigliato di andar via di casa facendosi ospitare, di non andare a lavoro e di staccare il cellulare. La donna, prima di scappare, ha avvisato la sua datrice di lavoro che aveva bisogno di qualche giorno di permesso perché doveva nascondersi. È stata licenziata per assenza ingiustificata, ovviamente abbiamo impugnato il licenziamento. Ancora: ho seguito casi di donne licenziate perché il compagno violento si faceva trovare in prossimità del luogo di lavoro, o telefonava insistentemente.
Esistono leggi che tutelano le lavoratrici rispetto alle diverse forme di violenza?
Per lungo tempo no. La normativa tutelava le donne solo in quanto madri, anzi avevamo leggi che facevano di tutto per garantire alle donne con figli di stare a casa, invece che garantire alle madri di poter stare sul lavoro. Quindi questo apriva spazi alla preponderanza maschile sul lavoro, penso alle firme sulle dimissioni con la data in bianco. O penso al fatto che è ancora in uso una vecchia norma del 1963 poi confluita nel Codice delle Pari opportunità che vieta il licenziamento per matrimonio. Il vero cambiamento c'è stato con la legge Turco, la numero 53 dell’8 marzo del 2000 che mirava al riequilibrio di genere del lavoro di cura, consentendo alle donne di andare a lavorare, lasciando a casa i padri attraverso i congedi parentali. Peccato che c'è la violenza economica: essendo l’astensione facoltativa retribuita al 30% è evidente che sta a casa chi ha un salario più basso. Lo stipendio delle donne è infinitamente più basso di quello degli uomini e ovviamente – quindi – continua a stare a casa la madre. La norma che è stata davvero una leva di cambiamento è la legge del 2006 che alleggerisce l'onere della della prova, per cui sulle discriminazioni di genere si possono indicare elementi di fatto che comunemente fanno pensare che il vero motivo del licenziamento sia la discriminazione. A quel punto è il datore di lavoro che deve provare che il motivo di licenziamento in realtà è un altro. Il problema è che questa è una norma non conosciuta, spesso nemmeno dai giudici. Per questo è necessario mettere in campo una formazione specifica per avvocati e avvocate sugli strumenti per tutelare le donne vittime di molestie, discriminazioni e violenze nei luoghi di lavoro.
Un'ultima domanda: abbiamo parlato delle diverse forme di violenza nei confronti delle donne nei luoghi di lavoro. Nel corso degli anni si è passati dalla tipica violenza sessuale ad altre forme di violenza. Violenze di tipo sessuale o molestie ci sono ancora?
Ci sono moltissimo. Emergono poco perché pochi sono i luoghi, a differenza dei centri anti-violenza che si occupano di quella domestica e che si sono moltiplicati, che accolgono le donne vittime di violenza o di molestie nei luoghi di lavoro. Siamo al paradosso che spesso ci accorgiamo di violenze e molestie perché i lavoratori licenziati per molestie si rivolgono al giudice del lavoro per essere reintegrati. E poi, perché noi quando scriviamo una causa al ruolo, dobbiamo dare un codice perché l'Istat acquisisce i dati per dirci quanti sono i processi per singolo ruolo. Un ruolo specifico per licenziamento da discriminazione non esiste. Ed è bene ricordare che oggi, grazie all’Europa, le molestie nei luoghi di lavoro sono considerate discriminazione sessuale. Occorre saperle riconoscere, dicevamo. Da qui discende l’importanza degli sportelli anti-discriminazione delle Camere del çavoro. A Roma chi pensa di essere vittima di discriminazione sul luogo di lavoro può scrivere a diritti@lazio.cgil.it.