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Partiamo da un presupposto. Se un’azienda o un ente dà in appalto un servizio lo fa spesso per risparmiare. Questo è un dato incontrovertibile e inconfutabile. La gara tra chi propone di fornire il servizio si gioca nella quasi totalità dei casi sull’offerta più bassa o più vantaggiosa. Ma l’impresa che si aggiudica l’appalto su cosa risparmia? Sui tempi di esecuzione e sui costi necessari a svolgere l’attività, quindi sui materiali, sulla sicurezza, sul lavoro.
A pagare il prezzo del ribasso, quindi, è sempre chi lavora. Innanzitutto il salario e il contratto spesso non vengono rispettati. Poi la formazione e la tutela della salute e della sicurezza sono trascurate o completamente omesse. Inoltre, al cambio di appalto non è detto che il lavoratore mantenga il posto o che lo mantenga alle stesse condizioni. Il lavoro in appalto è quindi molto precario, incerto, a rischio.
Fenomeno strutturale
Ad accendere i riflettori sul settore è la campagna della Cgil, promossa insieme alle sue categorie, “La precarietà ha troppe facce. Combattiamola insieme”, che denuncia come il fenomeno del lavoro in appalto e in sub-appalto sia in forte crescita in tutti gli ambiti produttivi.
E mentre, grazie alla relazione dell’Anac, l’Autorità anticorruzione, sappiamo che la pubblica amministrazione è la più grande stazione appaltante in termini di opere, servizi e forniture, il settore privato è difficile da fotografare. La frammentazione dei cicli produttivi, delle condizioni del lavoro e delle filiere, che sono sempre più lunghe, dimostra comunque che anche qui il sistema si è espanso ed è diventato strutturale.
Una precarietà a più facce
“La precarietà negli appalti è data da tanti fattori, primo fra tutti il fatto che questi hanno una durata definita – dichiara Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil. Questo anche nel settore pubblico, servizi ospedalieri, università, mense scolastiche, dove è determinata dalle regole del bando di gara o dell’affidamento diretto. Alla scadenza dell’appalto si apre una fase di fibrillazione: nonostante il fatto che abbiamo inserito in diversi contratti nazionali da anni la clausola sociale oggi conquistata anche nel nuovo codice dei contratti pubblici, c’è sempre il rischio del posto di lavoro”. Ogni volta che cambia l’appalto e cambia l’azienda si mette in discussione il posto di lavoro, il salario o una parte del salario, l’anzianità. Va ancora peggio nel settore privato.
Tutto è iniziato nel 2003
Una spinta all’esternalizzazione, all’appalto e al sub-appalto, è stata data nel 2003 dal decreto legislativo 276 che ha abrogato l’obbligo di parità di trattamento tra i dipendenti del committente e quelli dell’appaltatore previsto da una legge del 1960. “L’eliminazione di questa tutela – precisa Re David –, la depenalizzazione dell’appalto illecito e la cancellazione del limite per cui l’azienda non poteva esternalizzare attività che normalmente dovrebbe dare in casa, hanno funzionato da detonatore”.
Il far west del settore privato
Specie nel settore privato hanno portato a un vero e proprio far west. Dall’edilizia alla manutenzione delle reti, dalla logistica e movimentazione merci al rifornimento delle strutture commerciali, dalle mense ai servizi per gli hotel, dalle pulizie industriali ai call center. Una lunga catena ha permeato il modello di fare impresa di aziende di ogni dimensione e oggetto sociale.
Tragicamente, come hanno evidenziato gli incidenti mortali più recenti, di Brandizzo, del cantiere Esselunga di Firenze, della Centrale di Suviana, come anche la realtà dell’Ilva, di Stellantis, dei porti, degli aeroporti, dell’industria alimentare, della filiera delle carni, il sistema degli appalti non ha confini contrattuali né di attività.
Numeri da capogiro
Nel settore pubblico i numeri sono importanti. 290 miliardi di euro di affidamenti nel 2022, più 39 per cento rispetto all’anno precedente, più 56 per cento sul 2020. Le procedure di gara sono state 233 mila. Numeri che coprono gli appalti di servizi e gli appalti di lavori, comprese le grandi opere connesse al Pnrr.
Esternalizzare per risparmiare
“La diffusione dell’appalto nel pubblico è partita quando il tema del debito degli Stati membri è diventato dominante e l’Europa ha iniziato a chiederci un pareggio di bilancio, che abbiamo inseguito con processi di esternalizzazione dei servizi e precarizzazione del lavoro – spiega Re David –. L’appalto è stato usato come strumento di contenimento della spesa, espellendo tutta una serie di attività come per esempio la mensa, le pulizie, la lavanderia, la manutenzione negli ospedali. Ora siamo addirittura di fronte all’esternalizzazione di funzioni primarie, come ci dimostra il fenomeno dei medici a gettone”.
Stesso lavoro, diverso trattamento
Il ricorso massiccio agli appalti ha radicalizzato le differenze tra lavoratori anche quando svolgono le stesse mansioni e attività o comunque operano nello stesso luogo di lavoro. “Differenze in termini retributivi, contributivi, dei diritti, delle tutele, dell’accesso ai servizi di welfare e spesso delle garanzie rispetto alla continuità e stabilità dell’occupazione – afferma ancora Re David –. Oggi abbiamo ottenuto nella conversione del decreto legge 19 sul Pnrr che fosse ripristinata la parità di trattamento economico e normativo per tutti e l’applicazione del contratto di riferimento, per tutti e anche nel privato. Una grandissima novità, ma non è un ritorno alle garanzie che c’erano prima”.
Troppo spesso il sindacato si ritrova a denunciare l’uso improprio dell’appalto quando i lavoratori sono impiegati normalmente nella produzione e nelle attività tipiche del committente. Occorrono per il settore privato le stesse regole degli appalti pubblici, per intervenire sull’attuale deregulation del mercato che aggrava le condizioni di chi lavora.
Contratto di riferimento
“Nell’ultimo codice degli appalti qualcosa di positivo c’è anche a seguito della iniziativa della Cgil – dichiara la dirigente sindacale –, e cioè che si obbligano le aziende ad applicare il contratto indicato in sede di gara, quello giusto del settore, firmato dalle organizzazioni sindacali più rappresentative, non solo per la parte salariale, ma anche per quella normativa, le ferie, i permessi, la maternità. Averlo oggi esteso al settore privato è la strada da perseguire per l’estensione delle regole per tutte le tipologie di appalto.
Invece non esiste il divieto per il sub-appalto a cascata, la cui valutazione sulla limitazione è rimessa ad ogni stazione appaltante nella fase di definizione del bando. Sub-appalto a cascata che è stato escluso in diversi protocolli a partire da quello per i lavori del Giubileo sottoscritto con Roma Capitale.
“Mentre – conclude Re David – con il quarto quesito referendario che abbiamo proposto, affrontiamo il tema della responsabilità dei committenti sulle questioni che riguardano la salute e la sicurezza negli appalti e nei subappalti. Gli appalti dovrebbero dare lavoro alle imprese virtuose e non a quelle che mettono in secondo piano la qualità del lavoro e la sicurezza”.