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Dotarsi di strumenti analitici, negoziali e culturali per sconfiggere il divario di genere nella partecipazione al mondo del lavoro. È con questo obiettivo che nasce il Forum Donne di Slc Cgil. Inaugurato ieri in occasione del dibattito Le donne nel lavoro che cambia, opererà in sinergia con Belle Ciao, la piattaforma di genere della Cgil.
L’evento, svoltosi ieri mattina presso la sede nazionale della Cgil in Corso d’Italia a Roma, è stato introdotto da Alessandra Tommasini, responsabile nazionale Politiche di genere Slc Cgil, che ha evidenziato gli sforzi per far sì che il primo CCNL di attrici e attori del Cineaudiovisivo – nella cui stipula Slc Cgil è al momento impegnata – metta nero su bianco «il rifiuto delle discriminazioni di genere, la promozione dell’equità salariale di uomini e donne, la lotta alla marginalizzazione delle persone Lgbt+ nella produzione di film e serie tv come nella scelta di chi interpreta i ruoli dei personaggi, la promozione di attrici over 50 alle audizioni».
Nella filiera della carta, della grafica e dell’editoria colpisce il quadro delineato da Lia Bruna, coordinatrice di Strade – Slc Cgil. «La traduzione editoriale è molto femminilizzata: a oggi le donne compongono l’83% della forza lavoro del settore» e il prodotto stesso, cioè il testo tradotto, viene tradizionalmente classificato in termini genderizzati. Si parla infatti di «traduzioni belle e infedeli o fedeli ma brutte. Questa femminilizzazione – spiega Bruna – è l’effetto della scarsa considerazione nutrita dalla committenza per l’attività traduttiva e, a sua volta, una delle cause che perpetuano lo stereotipo secondo cui la traduzione sarebbe l’ancella della letteratura». Per ragioni simili, non solo la traduzione, ma anche molte altre mansioni editoriali – la cui composizione femminile è in crescita – sono esternalizzate, sfruttate e sottopagate.
In Poste Italiane, ossia il più grosso datore di lavoro privato del Paese, «il gender gap è in lenta riduzione – osserva Martina Tomassini, coordinatrice nazionale Slc Cgil – ma rimane un lavoro importante da fare» se si pensa che le donne sono il 55% dei circa 110 mila dipendenti a tempo indeterminato, ma nelle posizioni dirigenziali sono una minoranza (41%) e i casi di promozione che le riguardano (46%) sono inferiori rispetto a quelle dei loro colleghi uomini (54%).
Scenario più fosco nella maggiore azienda culturale italiana. Stando al bilancio di sostenibilità della Rai, dei 12.751 dipendenti del 2021 il 55,6% sono uomini, contro il 44,4% di donne. Il regime di lavoro part-time è utilizzato, tra i tempi determinati, nel 90,8% dei casi da donne. I ruoli di responsabilità, su un totale di 1.604 unità, sono affidati a uomini nel 58,7% dei casi, alle donne nel 41,3%.
Sabina Di Marco – segretaria nazionale Slc Cgil – ricorda che «storicamente la ricerca dell’equilibrio tra vita e lavoro è una rivendicazione delle donne, divenuta oggi trasversale a tutta la società». Un esempio del fatto che «l’innovazione parte dalle lavoratrici, quindi le loro lotte sindacali non sono divisive o marginali, ma devono diventare patrimonio comune del mondo del lavoro».
«Siamo la categoria della comunicazione – sottolinea Giulia Guida, segretaria nazionale Slc Cgil – perciò possiamo e dobbiamo fare tantissimo per contrastare discriminazione e violenza di genere». In che modo? «Ad esempio utilizzando un linguaggio verbale e visivo che non si attenga a non riprodurre privilegi classisti, ma si sforzi anche di includere le soggettività genderizzate».
Potenziale innovativo della categoria esteso da Lara Ghiglione, segretaria confederale Cgil, a tutta la sfera culturale, perché «bisogna costruire una contro-narrazione al discorso tossico sul ruolo della donna nella società». Ed è proprio sul piano sociale, ben oltre quello ‘privato’ della coppia, che secondo Ghiglione va contrastato il pervicace squilibrio nel carico di lavoro domestico e di cura, tutt’ora gravante in misura pressoché esclusiva sulle spalle delle donne. Bene dunque il «congedo parentale allargato anche ai padri, ma servono più servizi pubblici, a partire dagli asili nido, e una formazione che combatta, invece di riprodurre, stereotipi patriarcali su identità e ruoli di genere» – chiosa la segretaria confederale.