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Dal nero al grigio, attraverso le innumerevoli sfumature esistenti. Sono le tante forme del lavoro irregolare, uno status che riguarda quasi 3 milioni di individui, secondo l’ultimo report sull’economia non osservata dell’Istat.
Di questi, 2.177.000 sono occupati dipendenti, gli altri sono indipendenti, tutti dati in crescita. Guardando al quadro complessivo, il tasso di irregolarità è pari al 12,7 per cento. Questo vuol dire che su cento lavoratori, quasi 13 sono irregolari.
160 miliardi di euro
La campagna promossa dalla Cgil e dalle categorie sindacali “La precarietà ha troppe facce. Combattiamola insieme” si concentra sul lavoro sommerso, un fenomeno molto diffuso in Italia, un’economia che vale 160 miliardi di euro (sotto-dichiarazioni e lavoro irregolare) pari all’8,7 per cento del Pil, in tanti settori diversi. Quello dove è maggiormente radicato è il settore dei servizi alla persona: qui l’incidenza è del 42,6 per cento, seguito dall’agricoltura (16,8 per cento), il terziario (13,8 per cento) le costruzioni (13,3 per cento), il commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (12,7).
C’è il nero e c’è il grigio
Ma che cosa si intende esattamente per lavoro irregolare? “Quello completamente invisibile a livello giuridico è il lavoro nero, in cui si omette tutto, la parte contributiva, retributiva, assicurativa – spiega Rossella Marinucci della Cgil -. Poi c’è il grigio, caratterizzato da rapporti formalmente regolari ma con elementi di irregolarità. Può esserci una formale regolarità di assunzione, con un contratto che però copre solo parzialmente l’effettiva prestazione lavorativa, per esempio una persona con un part time che invece è impiegata come un full time. O anche un’applicazione parziale del contratto: il datore applica le ore base ma non riconosce gli straordinari, o le ferie e i permessi”.
A insaputa del lavoratore
Ancora, e questo accade in alcuni particolari settori, nella paga globale di fatto, cioè il netto mensile, viene ricompreso tutto, tfr, permessi, ferie, a prescindere dalla prestazione. “La cosa peggiore è che molte persone purtroppo neppure se ne accorgono – prosegue Marinucci -. Anche perché finché va tutto bene l’irregolarità non emerge. I guai iniziano quando c’è un problema o un imprevisto”.
Con una crisi aziendale, per esempio, quando devono entrare in gioco istituti per integrare il reddito, il lavoratore percepisce meno di quanto gli spetterebbe se il contratto fosse applicato con correttezza. In caso di disoccupazione, maternità, malattia, l’irregolare ha diritto a meno di quanto si aspetterebbe o addirittura a niente, a seconda delle situazioni.
Casistica ampia
La casistica è ampia. Ci può essere un uso non genuino di una serie di strumenti, come l’appalto, il distacco, la somministrazione, in cui i contratti ci sono ma vengono impiegati in modo distorto. Falsi tirocini, falso lavoro occasionale, contratti a chiamata o voucher che nascondono rapporti a tempo pieno.
Ci sono situazioni estreme rappresentate dallo sfruttamento e dal caporalato. E quelle in cui viene fatto dumping: in pratica si applica il contratto sottoscritto da organizzazioni sindacali minori o per niente rappresentative. Le retribuzioni possono anche essere in linea, ma mancano elementi aggiuntivi e tutele.
Precarietà nel lavoro e nella vita
“Inquadramenti irregolari, meno contributi o totale assenza di contributi si ripercuotono sulla pensione che si va a maturare – aggiunge Marinucci -. O quando si interrompe il rapporto, sulla Naspi, l’indennità di disoccupazione. Durante la pandemia molti lavoratori si sono resi conto che erano stati contrattualizzati in maniera scorretta proprio perché sono rimasti esclusi da una serie di misure. L’irregolarità crea una condizione di precarietà nel lavoro e nella vita delle persone”.
Poche ispezioni
Nonostante sia un fenomeno in crescita, sul fronte dei controlli si fa ancora troppo poco. Nel corso dell’attività di monitoraggio effettuato dall’Ispettorato nazionale del lavoro da gennaio a dicembre dello scorso anno sono stati scoperti 21.170 lavoratori in nero, di cui 10.156 nel terziario (pari al 47,8 per cento) e 2.666 in edilizia; 328.549 irregolari, 36.511 rapporti fittizi, 3.208 vittime di sfruttamento o caporalato, di cui 2.123 in agricoltura e 897 nel terziario.
“Si tratta di dati ricavati sulla base delle ispezioni effettuate, che quindi non rappresentano una fotografia della realtà – conclude Marinucci -. Il personale è decisamente insufficiente per monitorare e verificare tutte le aziende e il numero delle ispezioni è molto lontano da quello che sarebbe necessario, anche se è aumentato dell’11 per cento dal 2022 al 2023. Servono maggiori risorse economiche e umane, le sanzioni, le ispezioni e le denunce devono aumentare. Perché il lavoro irregolare incide moltissimo sui nostri territori e sulla vita delle persone”.